Convincere i creditori ad accettare una pesante perdita sui titoli in loro possesso. Convincere l’Europa, soprattutto quella più scettica, delle proprie buone intenzioni e del rinnovato senso di responsabilità. E’ una missione su due fronti quella che la Grecia spera di portare a compimento. Un percorso a ostacoli per raggiungere l’atteso traguardo dell’intesa sbloccando, finalmente, l’agognato maxi finanziamento da 130 miliardi ed evitare così il default del prossimo 20 marzo (data di scadenza di 14,4 miliardi di titoli che la Grecia non può liquidare con i propri mezzi). Ma anche un percorso di cui si intravede finalmente la conclusione come hanno fatto capire i ministri finanziari dell’Ue, impegnati nella più importante riunione che l’Eurogruppo ricordi.

L’ottimismo, peraltro, è nell’aria fin dal pomeriggio. Da Schauble a Rehn, passando per il ministro delle finanze francese Baroin, il leitmotiv è stato unanime: “Si conclude entro poche ore”. Come a dire che i mesi di negoziati potevano finalmente risolversi in un’intesa complessiva e definitiva. Per quanto dolorosa, ovviamente, in termini di cessione di sovranità attraverso un commissariamento de facto della spesa pubblica greca.

Già, il commissariamento. In parte è già stato imposto, e non potrebbe essere altrimenti. La Grecia ha adottato un piano di austerity che stroncherebbe anche un’economia lievemente in difficoltà, figuriamoci un Paese già provato da un biennio di recessione senza eguali. Eppure Atene non ha avuto scelta. Meglio soffrire, e tanto, che andare incontro alla bancarotta disordinata e all’uscita dall’euro: due fenomeni correlati che aprirebbero la strada a scenari “argentini” da incubo fatti di iperinflazione, collasso del sistema bancario, panico e miseria. Per questo il premier Papademos e il ministro delle finanze Venizelos hanno difeso senza esitazioni il provvedimento trovando il consenso di buona parte dell’assemblea legislativa. Eppure a qualcuno non è bastato.

“Sono favorevole ad una presenza permanente della Troika ad Atene” ha dichiarato oggi il ministro delle finanze olandese Jan Kees De Jager. L’idea, in sostanza, è quella di sottrarre la spesa pubblica al controllo del governo greco affidandone la gestione a Ue, Bce e Fmi. Un’ipotesi che rappresenterebbe una cessione di potere senza precedenti, a dir poco provocatoria e presumibilmente illegittima, che non convince parte dell’Europa. Ma che, al tempo stesso, dà l’impressione di essere stata lanciata con l’obiettivo di aprire la strada a un nuovo negoziato. Chiedere il massimo, insomma, per ottenere per lo meno il minimo. Dove per minimo si intende la piena rassicurazione sulla corretta gestione dei fondi.

In attesa dei dettagli sull’accordo, molti aspetti restano ancora da definire. Ancora non si sa come saranno gestiti i miliardi del pacchetto di salvataggio. Improbabile che vengano semplicemente girati ad Atene, possibile, al contrario, che finiscano in un fondo a gestione “separata”. La famosa sostenuta dalla Germania attraverso la costituzione di un canale di finanziamento sotto il controllo costante dell’Europa. Non è ancora noto, inoltre, quale forma possa assumere il definitivo accordo di haircut con gli investitori privati che hanno acquistato in passato il debito ellenico. Fino ad oggi si è pensato ad un taglio del valore dei titoli fino al 70% ma oggi alcune fonti parlano di una richiesta ancor più impegnativa da parte di Atene. Le perdite caricate sui creditori, insomma, potrebbero essere maggiori rispetto alle attese. La sola certezza è che la Bce non sarà toccata dall’intervento visto che proprio in questi giorni ha completato lo swap con la Grecia sostituendo i 50 miliardi di titoli acquistati con obbligazioni equivalenti ma non soggette a riduzioni di valore imposte unilateralmente. Un sistema che consentirà alla Bce di rispettare i trattati europei (che non permettono il concambio) e, al tempo stesso, di non perdere nemmeno un centesimo.

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