In Liguria non manca proprio nulla: dalla “presenza nel distretto e in particolare nella città di Genova di gruppi mafiosi siciliani”, all’esistenza di “sodalizi criminali di stampo ‘ndranghetista aventi la stessa struttura, cariche e rituali degli organismi calabresi”, fino alle “organizzazioni criminali riconducibili alla camorra”. Senza farsi mancare una buona dose di “criminalità internazionale”: quella nordafricana innanzitutto, ma anche quella di origine sudamericana, specie nel capoluogo. A metterlo nero su bianco ancora una volta, la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, presentata mercoledì 8 febbraio, che copre il periodo dal 1° luglio 2010 al 30 giugno 2011: 736 pagine di cui 10 dedicate interamente alla Liguria (citata 30 volte nel documento) sviscerata in tutti i suoi aspetti criminali dal magistrato antimafia Anna Canepa. Aspetti presenti anche nella proposta di legge 140 (scarica il pdf) che, sempre mercoledì, sette consiglieri del Partito democratico – Lorenzo Basso, Antonino Miceli, Michele Boffa, Alessio Cavarra, Valter Ferrando, Giancarlo Manti e Sergio Scibilia – insieme ai rappresentanti di Libera, della Fondazione anti usura e di altri enti hanno consegnato alla I° Commissione – Affari istituzionali della Regione Liguria. Presente all’audizione anche il presidente della Casa della legalità Christian Abbondanza che ha presentato 40 pagine di osservazioni: di fatto una serie di forti critiche che sottolineano da una parte “l’inefficacia della proposta di legge promossa dal Pd” e dall’altra “l’inapplicabilità di alcuni punti specifici”.

Ma cosa prevede la proposte di legge “Iniziative regionali per la prevenzione del crimine organizzato e mafioso e per la promozione della cultura della legalità”? Si tratta di 17 articoli modellati sulla recente legge regionale della Lombardia del 14 febbraio scorso e su quella in esame al Consiglio dell’Emilia Romagna. Del resto, a partire dallo scioglimento del Comune di Bordighera nel marzo 2011 da parte dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni fino all’episodio recentissimo, il 3 febbraio 2012, dello scioglimento del Comune di Ventimiglia, (sul quale, dal luglio 2011 era a lavoro una commissione prefettizia) nessuno può più mettere in dubbio ciò che nel 2009 il capo delle cosche a Genova Mimmo Gangemi diceva, in un aranceto di Siderno, a Domenico Oppedisano, capo assoluto della ‘ndrangheta: “Siamo tutti una cosa sola, la Liguria è ‘ndranghetista. Noi siamo calabresi e quello che c’era qui lo abbiamo portato lì”, frase che si legge nella relazione inviata nell’ottobre 2011 dal Prefetto d’Imperia alla Commissione parlamentare antimafia.

E se la relazione della Dna parla chiaramente di “una trama inquietante di infiltrazioni di criminalità organizzata”, della sua “capacità di mimetizzazione”, della “vocazione agli affari accompagnata nei territori come quello ligure, a forme di accordo (più o meno libero) con settori dell’imprenditoria, della Pubblica amministrazione, della politica”, la proposta di legge consegnata ieri dai consiglieri Pd e dai rappresentanti delle associazioni antimafia, con l’eccezione critica della Casa della legalità, rappresenta una cura “istituzionale” per arginare tutta quella serie di attività del crimine organizzato che in Liguria hanno proliferato: dal traffico di stupefacenti, alle estorsioni, all’usura, al gioco d’azzardo fino allo sfruttamento della prostituzione. Senza dimenticare però, come si legge nella relazione che accompagna la proposta di legge, “l’inquinamento criminale dell’economia lecita con il riciclaggio e il massiccio impiego di capitali, spesso “sporchi”, nell’imprenditoria edile e nello smaltimento dei rifiuti, settori nei quali le ‘ndrine hanno dimostrato di possedere mezzi, strutture e coperture tali da poter condizionare l’aggiudicazione di importanti appalti pubblici”.

E la politica? La relazione della Dna non è reticente su questo fronte. Anzi. Se in Liguria si può ancora parlare di territori non “colonizzati”, bisogna riconoscere – si legge del testo dell’Antimafia – i “sintomi che si concretizzano in azioni tipiche come danneggiamenti, incendi, estorsioni, intimidazioni” e, in maniera più subdola ma non meno insidiosa, “con la pratica dell’avvicinamento\assoggettamento di soggetti legati da interessi comuni come politici, amministratori e imprenditori e quindi mediante contatti, relazioni con cui la ‘ndrangheta attua il suo progetto di conquista dell’economia legale”. Stiamo parlando ad esempio dell’interessamento dei boss calabresi per i candidati del Pdl alle elezioni regionali del 2010, Alessio Saso e Aldo Praticò, emerso con l’indagine “Maglio 3″ che, a giugno 2011, ha portato all’arresto di 12 persone con l’accusa di associazione di tipo mafioso, perché ritenuti, come si legge nell’ordinanza, appartenenti “a un gruppo di affiliati alla ‘ndrangheta calabrese, operativo sul territorio ligure e suddiviso in quattro locali’ collocate nei centri di Genova, Ventimiglia, Lavagna e Sarzana”. Ed è proprio il nodo politico a far storcere il naso ad Abbondanza: “Qualunque vecchia o nuova normativa avrà ben poca ricaduta concreta se i partiti non decideranno, per prima cosa, di “ripulirsi”, mettendo alla porta quanti hanno avuto rapporti (anche se non penalmente rilevanti) con esponenti delle cosche mafiose, spiega il presidente della Casa della legalità.

Il punto è ritenuto fondamentale anche dalle altre associazioni, Libera in testa, che però sulla proposta di legge mostra maggiore apertura: “Noi abbiamo sempre appoggiato questa proposta affermando che sostanzialmente la riteniamo un passo avanti importante – racconta il referente ligure di Libera Liguria Matteo Lupi – ma avevamo espresso qualche perplessità su alcuni organismi previsti preferendo organismi più ristretti”. Altri dubbi erano stati espressi da Libera anche “riguardo alla possibilità di destinare risorse poi effettivamente a disposizione al fine di rendere concretamente efficaci alcuni interventi previsti con la proposta di legge”. Meglio comunque che la Regione si doti di una normativa antimafia, seppur migliorabile piuttosto che nulla come invece teorizza il presidente della Casa della Legalità.

La legge 140 propone alla Regione Liguria di intervenire su due filoni: innanzitutto “la prevenzione del fenomeno criminale mafioso”, attraverso vari strumenti: l’istituzione, di intesa con il Ministero dell’Interno e gli enti locali, della Stazione Unica Appaltante ligure (art. 3); protocolli di intesa con Direzione distrettuale antimafia, Direzione investigativa antimafia e altre forze dell’ordine (art. 4), accordi con enti pubblici ed organizzazioni private (art. 5 e 6); sostegno ad attività educative e formative, promosse dalla Regione stessa o da scuole, Università o realtà private (art. 7); attraverso una sede permanente per il confronto fra tutti gli attori istituzionali, economici e sociali impegnati nella lotta alle mafie (art. 11); con l’istituzione di una “Giornata regionale dell’impegno contro le mafie e in ricordo delle vittime” (art. 12). In secondo luogo, con “l’intervento successivo al manifestarsi di episodi riconducibili alla criminalità organizzata” attraverso il sostegno alle vittime dei reati (art. 10) e la valorizzazione sociale dei beni confiscati (art. 9). Infine, con “una norma altamente simbolica si prevede l’obbligo per la Regione di costituirsi parte civile nei processi per associazione a delinquere di stampo mafioso” (art. 15).

Perché, applicando ovunque “un rigoroso parametro di lotta incondizionata alla criminalità” la proposta di legge ha “un preciso e forte significato politico: per la prima volta nella sua storia la Liguria si dota espressamente di una normativa antimafia, definendola tale fin dal titolo stesso della legge regionale”. Un messaggio di speranza che i consiglieri del Pd e le associazioni antimafia del territorio lanciano con le parole di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.”

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