Il cupo sindaco Benito Alemanno, figlio della vernice nera che da mezzo secolo imbratta i muri di Roma, non è riuscito a spezzare le reni alla neve. Come il suo augusto predecessore di Predappio, ha finto di credere che le guarnigioni erano pronte all’assalto della bianca visitatrice con le scarpe, la pala, il raschietto, e che nei depositi di un qualche fronte interno esistevano per davvero i mitici “250 spazzaneve!” con i motori pronti a ruggire sulla tempesta siberiana, cioè bolscevica, per spazzarla via.

I suoi migliori collaboratori – scelti tra i camerati più arditi, compresa la mitica sorella – sono stati sguinzagliati come incursori agli incroci per spargere il sale credendolo un antidoto preventivo al ghiaccio, da versare quando ancora piove, direttamente nell’acqua, come fa ogni giorno la signora Rauti quando nella fureria domestica bolle l’acqua per la pasta e alte si alzano le note di “Giarabub”. La farsesca incompetenza è diventata tragedia. Alle maledizioni dei romani imprigionati, il sindaco ha risposto con l’insolenza dei narcisisti e le scuse dei bambini. Perché neanche immagina la differenza che passa tra la serietà della neve fresca e i suoi ridicoli pupazzi.

Il Fatto Quotidiano, 7 Febbraio 2012

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