“Un moderato successo” e quarantamila visitatori non hanno salvato Arte Fiera, che quest’anno ha perso circa settanta gallerie tra le più importanti del mondo. La Grossetti di Milano, la bolognese Otto Gallery, la Sperone Westwater di New York, Massimo Minini di Brescia, Niccoli di Parma sono solo alcuni dei grandi assenti che, nell’edizione 2012, non erano in piazza Costituzione. Una stima pesante per un’esposizione che da anni rappresenta uno dei punti di riferimento dell’arte contemporanea internazionale, il primo appuntamento del calendario, l’art first, che apre l’anno dando il via a una catena di eventi che coinvolgono i cinque continenti.

Che i padiglioni sarebbero stati più piccoli e le gallerie invitate a esporre numericamente inferiori a quelle presenti nelle edizioni precedenti era stato annunciato in conferenza stampa, qualche giorno prima che vi fosse l’inaugurazione. Ma il bilancio ha superato, e in negativo, le aspettative dell’organizzazione, capitanata dal direttore artistico Silvia Evangelisti. Certo, si è cercato di favorire la qualità, ma sia i “big”, sia gli emergenti hanno lamentato un aumento dei costi del 10% “pesante in un momento di profonda crisi”, che ha scoraggiato molti galleristi e convinto altri a scegliere la città come palcoscenico dell’esposizione.

Con un mercato dell’arte moderna e contemporanea in caduta libera, come ha ribadito il Forum di Nomisma 2012, pubblicato proprio durante Arte Fiera, risparmiare dove si può è d’obbligo e allora molti hanno ritenuto più opportuno organizzarsi indipendentemente. Scegliere un palazzo storico invece di uno spazio nei padiglioni, uno show room al posto di piazza della Costituzione.

Cambiamenti evidenti anche al pubblico più inesperto, che non ha potuto fare a meno di notare l’atmosfera d’incertezza che si respirava attraversando i padiglioni, per nulla alleggerita dalla bellezza delle opere esposte. Mancava qualcosa, mancava quell’estro, quell’esagerazione, l’eccesso tipico di Arte Fiera dove tutto era immenso, travolgente, entusiasmante. Non ne è rimasta che l’ombra ormai, un ricordo di cui parlare con malinconia e la speranza che un giorno si recuperi l’antico splendore.

“La crisi finanziaria rischia di trasformare l’arte in compravendita, di snaturare la vocazione di ArteFiera che è da sempre quella di promuovere i giovani artisti, di fare proposte, esplorare il nuovo che nasce. Se perde questa funzione crolla il senso stesso della manifestazione che si riduce a puro mercato”. Bruno Grossetti, storico gallerista milanese, figlio d’arte (il padre è stato uno dei fondatori di ArteFiera) fa parte della folta schiera di galleristi (almeno una cinquantina) che hanno rinunciato ai padiglioni fieristici a causa di prezzi proibitivi, aumentati rispetto allo scorso anno.

Defezioni che sono state da più parti giustificate da una maggior selezione delle opere ospitate ma che in realtà nascondono pure motivazioni economiche non secondarie. E lo ha fatto scegliendo di  ritagliarsi uno spazio espositivo a parte, nel cuore della città, in un palazzo storico di via Belle Arti che dal 27 al 29 gennaio ha ospitato Oltre l’attimo: titolo che è pure riflessione sulla necessità di recuperare all’arte il tempo, sottraendola alla velocità del tutto e alla contingenza, restituendole la densità d’essere che le è propria. Trenta artisti, per la maggior parte giovanissimi, oltre agli storici degli anni Sessanta e Settanta, da Spagnulo a Dadamaino a Nicola Carrino. “Maestri” continua Grossetti “che a loro volta furono i “giovani” di mio padre, da lui scoperti e presentati e promossi proprio in luoghi come la Fiera che oggi non consentono più questo tipo di operazione”.

Perché se è facile vendere un Morandi e ripagarsi ampiamente dei 30mila euro che l’occupazione di un padiglione da cento metri quadrati costa ad un gallerista in fiera, non è altrettanto facile rientrare delle spese con le opere degli esordienti. Un esilio dorato, quello di Grossetti: quasi cinquecento metri quadrati di sale ampie e silenziose. “In questo modo invece riesco ad avere molto più spazio con una spesa assolutamente ridotta, e soprattutto a fare un lavoro più da gallerista e meno da mercante. In qualche modo si tratta di un lavoro più elitario: mi sono autoescluso dalla grande baraonda della Fiera che, sono convinto, vive e vivrà una grave crisi, a meno che non si riescano a trovare nuovi accordi, nuove soluzioni”.

Le condizioni di quest’anno paiono dequalificarla come momento di proposta reale e di avanguardia. Una mancanza di lungimiranza non solo artistica ma pure economica, secondo il gallerista, che ha lavorato in passato con il direttore artistico di ArteFiera Silvia Evangelisti. “Perchè se l’arte è mercato in un mercato in crisi è ovvio che ci troviamo di fronte ad un gatto che si morde la coda. E’ una questione di strategia economica: ArteFiera non è il salone della moto o della macchina. La crisi dovrebbe al contrario rappresentare un’occasione unica, portare ad un’attenzione differente nei confronti dell’opera d’arte non solo come investimento economico ma come investimento spirituale, nella più pura tradizione del grande collezionismo”.

La scelta di Grossetti potrebbe essere il primo atto della creazione di una manifestazione parallela, sulla scia dell’esempio del Fuori Salone milanese. Tant’è che altre gallerie rimaste fuori dai padiglioni fieristici hanno scelto altri luoghi della città, e che potrebbe essere occasione ghiotta per una città che aspira a fare del turismo uno dei suoi punti di forza.

di Luciana Apicella e Annalisa Dall’Oca

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