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L’Ungheria: un test democratico per l’Unione

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La stampa e l’opinione pubblica internazionale sembra se ne siano accorte solo nelle ultime settimane: la nuova Costituzione ungherese, approvata nel 2011 ed entrata in vigore l’1 gennaio 2012, sfida apertamente i principi democratici e i valori fondanti su cui l’Unione Europea è costruita. La campagna politica che il premier ungherese Viktor Orbán sta conducendo da quasi due anni è estremamente pericolosa e antidemocratica.

Già nel luglio del 2010 avevo presentato, insieme ad altri eurodeputati, un’interrogazione alla Commissione Europea sulla minaccia dei primi interventi legislativi del governo ungherese, quelli volti a limitare fortemente la libertà di informazione anche attraverso l’istituzione di veri e propri organi censori. Ma il progetto politico di Orbán ha subito un’accelerazione improvvisa con l’approvazione, nel giro di pochi mesi e coi voti del solo partito di maggioranza, di una profonda riscrittura della carta costituzionale ungherese. Con questa modifica viene stravolto l’assetto istituzionale del Paese, con una forte limitazione dell’indipendenza di alcuni organi importanti (Corte costituzionale, Corte dei Conti, Banca centrale) e compromettendo la stessa terzietà della magistratura, con l’assegnazione ad un unico soggetto (di fatto di nomina governativa) di ampi poteri – paragonabili a quelli del Csm -, ivi compresi quelli di nominare e rimuovere i magistrati.

Non si può sottacere, inoltre, il fatto che la nuova Costituzione ungherese, elaborata sulla base di un mix di populismo, xenofobia e fondamentalismo pseudo-cattolico, esalta e promuove le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale, della razza e del credo religioso. Penso che non siano sufficienti poche righe per descrivere quanto sta accadendo in Ungheria. Si tratta di una situazione che, purtroppo, in Parlamento Europeo, denunciamo da molto tempo, chiedendo alla Commissione Europea di intervenire.

Lo scorso dicembre la Commissione, a ridosso dell’entrata in vigore della Costituzione, ha inviato lettere di richiesta di chiarimento all’Ungheria, ma questa volta in molti pensano che la probabile “messa in mora” non sarà sufficiente. Come ho detto ieri in commissione parlamentare Libe in presenza della Commissione Europea, bisogna utilizzare lo strumento dell’art. 7 del Trattato dell’Ue, che consente di sospendere i diritti – ma non i doveri – di uno Stato membro, compreso quello di voto. La Commissione, che tentenna, la prossima settimana verrà a riferire a Strasburgo. Il Parlamento Europeo, nonostante resistenze interne, sembra voler procedere nell’attivazione della procedura “articolo 7”. Sottovalutare ancora la “questione ungherese” significherebbe dare un colpo forse mortale all’Unione Europea; a quell’Unione costruita per difendere e diffondere libertà, diritti e democrazia.




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