Le fortune della Lega sono inversamente proporzionali alla popolarità di Roberto Maroni. Se la politica potesse essere raccontata attraverso delle formule matematiche, questo probabilmente sarebbe uno dei postulati cardine per la comprensione degli alterni destini del Carroccio e del suo eterno numero due. Quando il movimento è difficoltà la militanza gioca la carta Maroni, il barbaro sognante che accende l’entusiasmo dei suoi guerrieri. È successo così nella seconda parte del 2011. Un anno in cui la Lega è riuscita ad essere tutto e il contrario di tutto, generando una frattura interna senza precedenti. Una frattura che ha sancito la nascita di una dicotomia lacerante e senza apparenti possibilità di ricuciture. Una Lega duale, in cui per mesi hanno convissuto due anime contrapposte. Quella di governo e quella di lotta, quella berlusconiana e quella antiberlusconiana, quella cerchiomagista e quella maroniana.

Di fronte alle manovre estive partorite da Tremonti e dal governo di Silvio Berlusconi, la militanza leghista è apparsa confusa. Come se non bastasse, dopo l’annuncio dei tagli agli enti locali anche i borgomastri del Carroccio hanno iniziato a mordere la mano del loro padrone. Tutto sembrava precipitare e a settembre il malcontento era talmente diffuso e profondo che i sondaggi interni al movimento davano una Lega in caduta libera, sotto al 5%. In quel preciso momento lo stesso sondaggio diceva che se la Lega avesse cambiato leader, affidandosi a Maroni, avrebbe raggiunto risultati mai sperati, attestandosi sopra al 12%. I sondaggi lasciano il tempo che trovano, soprattutto quando sono tramandati oralmente come dei miti e non sono sostenuti da una documentazione ufficiale e probante. Ma la sensazione è che quei numeri per un po’ abbiano inebriato lo stesso Bobo Maroni, che durante l’anno ha messo in moto la macchina del dissenso interno. Ha arringato i colonnelli e i fedelissimi in riunioni tra Bergamo, Brescia e Varese. Ha contato i numeri e mostrato i muscoli. In aula come sul territorio, in occasione delle elezioni per il rinnovo dei segretari locali. Ed è proprio nelle settimane che hanno preceduto l’elezione del segretario provinciale di Varese che si è consumato lo scontro più duro tra le truppe maroniane e il cerchio magico bossiano.

Un braccio di ferro tesissimo, che ha costretto il gruppo di potere più vicino alla famiglia Bossi a far esporre il Capo in persona, che ha indicato il suo candidato, dando vita a un periodo di tensioni impensabili per un movimento come la Lega. Il giorno delle elezioni è scoppiata la rivolta. Decine di delegati si sono scagliati apertamente contro la decisione di imporre, senza voto, un candidato unico. In quel momento sarebbe bastato un cenno di Maroni per far compiere ai suoi soldati il passo decisivo verso la svolta. Invece no. Lui ha preferito suonare ancora una volta la ritirata. Insomma, Roberto Maroni è sempre arrivato ad un millimetro dal successo, dal traguardo, dalla leadership, ma ogni volta, per un motivo o per un altro, si è dovuto o voluto accontentare di accodarsi, di fare il gregario, di chinare il capo.

Un personaggio carismatico e per certi versi ambiguo, che molti leghisti vorrebbero alla guida del loro partito. A lui è stata dedicata una biografia non autorizzata intitolata “Maroni. Una vita da mediano” (Editori Internazionali Riuniti), in uscita tra pochi giorni. È la storia delle occasioni mancate, dei sogni infranti dei militanti leghisti che lo volevano a capo del popolo padano e che proprio da Bobo sono stati zittiti in ogni occasione che conta. Un libro che tratteggia la vicenda politica del personaggio attraverso interviste esclusive agli amici, agli amministratori che gli sono più fedeli e ai leghisti di strada che ancora lo spingono a rompere con il cerchio magico del Senatur e fare il grande salto al timone della Lega Nord. Pagine da cui emergono azioni e contraddizioni che ne hanno scandito l’attività e il pensiero politico, dalla giovinezza ai giorni nostri. Probabilmente non esiste una ricetta per il superamento della leadership di Umberto Bossi, ancor meno dopo la fine del governo Berlusconi. Certo è che dietro l’apparente calma ritrovata di questi giorni bollono ancora gli stessi rancori di qualche mese fa e prima o poi i malumori torneranno a galla.

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La sopravvivenza del partito passa per Maroni

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