Il manifesto "Se non le donne, chi?"

Il 13 febbraio hanno riaffermato la dignità delle donne, calpestata dal sessismo berlusconista. L’11 dicembre si proporranno come forza politica, per guidare questo Paese fuori dall’agonia. Insieme agli uomini, certo. Ma questo vuol dire: 50% noi e 50% loro. Altro che quote rosa! Il grido era: “Se non ora quando?”. Oggi è: “Se non le donne chi?”. Erano un comitato spontaneo, eterogeneo, intergenerazionale e libero da appartenenze escludenti o servitù politiche. Dieci mesi dopo sono molte di più. Il 13 febbraio hanno mobilitato un milione di donne in tutta Italia. E a Roma, a Piazza del Popolo, è stata una festa da tutto esaurito. Sul palco c’erano monache e prostitute, poete e femministe, ragazze e donne e nonne. Storie politiche diverse e storie mai state politiche. Tante voci, lo stesso timbro. Una novità che ha segnato positivamente un anno fra i più terribili della storia pur travagliata di questo Paese. Va tutto male, ci dicevamo nei sottovoce della vita quotidiana, ma almeno sono tornate le donne.

Una presenza imponente, come ai tempi dei movimenti di massa. E con quel magico avverbio che cancellava anni di relativo silenzio: “Adesso!”. L’urto è stato forte. E qualcosa s’è mosso: l’arcaica inciviltà berlusconiana, che ci ha costrette ad arroccarci in difesa, ha sgombrato a favore di un governo tecnico che non è perfetto, ma almeno è decente. Un interlocutore.

L’11 dicembre, sempre in Piazza del Popolo, e in tante piazze d’Italia, le donne di “Snoq”, prenderanno la parola di nuovo. Questa volta per proporsi-imporsi come una forza politica dalla quale non si può prescindere: “Mai più contro di noi, mai più senza di noi” è lo slogan. La sfida è spericolata: prodursi in una manifestazione “pro” e non, come di consueto, “contro”. Dal palco sarà snocciolata una serie di temi cruciali: il welfare collegato allo sviluppo del lavoro, il lavoro coniugato con la maternità perché a una donna non sia mai più chiesto di scegliere se diventare madre o fare carriera (un’alternativa diabolica che ridurrebbe ogni uomo sull’orlo di una crisi di nervi), lotta al precariato senza speranza delle giovani e dei giovani, controllo sulla rappresentazione del femminile nella televisione, nella pubblicità, sui giornali (basta con la banalità della deprimentissima medietà maschile arretrata). Il tutto argomentato e illustrato con leggi da abrogare o promulgare, risorse da spostare, investimenti da privilegiare perché le donne non siano più escluse, danneggiate, amareggiate. Perché le donne non debbano più pagare il conto di una cattiva gestione di cui non sono state mai, né responsabili né complici.

Ma soprattutto perché i talenti, le competenze e l’energia delle donne siano riconosciuti finalmente per quello che sono: una chance per venir fuori dal pantano in cui stiamo affondando. Va da sé che, per essere in condizione di decidere, devono essere in tante. Non poche, non quote. Devono riversarsi ai piani alti della politica, nei consigli d’amministrazione, al vertice delle fondazioni e delle banche come un’onda travolgente, spinta dalla forza di tutte le altre. Tutte quelle che, raccontando disagio e fatica, condividendo speranze e parole, si riconoscono in questo movimento di collettivo risveglio.

I “tecnici” del governo attuale le ascolteranno? E i politici in lotta per essere eletti, dopo? Una cosa è certa: ogni donna ha un voto da spendere. Perché dovrebbe darlo a chi non l’ascolta? Perché votare “in cambio di niente”? L’11 dicembre, alle 14, sulle note di Casta diva e della Carmen, eseguite da un’orchestra di 50 elementi, sul ritmo delle canzoni di Paola Turci e Emma Marrone ed Erika Mou, ricordando le operaie morte a Barletta, schierando donne eccellenti, mescolando madri e figlie e destra e sinistra (perché sulle differenze si media e sulle somiglianze si cresce), le donne parleranno al Paese. Dobbiamo esserci in tanti. Donne e uomini. E incominciare a fare attenzione. Sul serio.

da Il Fatto Quotidiano del 30 novembre 2011

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