La copertina del libro "Soldi sporchi" di Pietro Grasso ed Enrico Bellavia (Dalai Editore)Continuano a mostrarcela con la coppola in testa, la lupara a tracolla, la cicoria a pranzo, la ricotta a cena, e un solo sistema di comunicazione: i pizzini. Continuano a dipingere i mafiosi come agricoltori sottoalfabetizzati con un amore spassionato per la violenza e poco sale in zucca. Continuano a indicare l’ultimo padrino in una foto segnaletica elaborata al computer, emblema conclusivo di un fenomeno che con gli ultimi arresti è da gettare in soffitta.

Una cronaca variopinta e strabica, con un taglio che piace tanto ai produttori di fiction. Nel frattempo Cosa Nostra sta a guardare e sorride da un attico nel centro di Milano, da un ufficio a vetri nella city di Londra o da un lussuoso appartamento nel quartiere finanziario di Francoforte sul Meno. Sorride mentre investe in borsa, mentre costituisce società, mentre entra tra i soci di banche e fondazioni. Sorride e fa affari, capitalizza denaro di dubbia provenienza, reinveste profitti criminali: in una parola ricicla. Sistemi rodati e spesso ancora sconosciuti che, come per magia, lavano il sangue dal denaro sporco, lo immettono in circuiti bianchi (come i colletti) e puliti (come le facce e le fedine penali dei prestanome), e lo moltiplicano all’infinito.

Ma come può una massa così enorme di denaro riuscire agevolmente e silenziosamente a muoversi, a mischiarsi a capitali puliti, e alla fine riprodursi? Una risposta hanno provato a tracciarla il giornalista di Repubblica Enrico Bellavia e il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Un anno di lavoro, un proficuo incrocio di fonti giudiziarie, economiche e bancarie, analisi dettagliate e aneddoti mai prima d’ora approfonditi: è nato così Soldi Sporchi (Dalai Editore, 360 pagg.), un racconto incalzante che guida il lettore nel labirinto delle mafie di mezzo mondo, abilissime a riciclare miliardi drogando l’economia globale.

Il libro, firmato a quattro mani dai palermitani Bellavia e Grasso, è un vero e proprio saggio  a metà tra l’economia e l’inchiesta sul riciclaggio di capitali illeciti. Un fenomeno che trenta anni dopo l’intuizione di Giovanni Falcone (“Bisogna seguire il denaro“) ha raggiunto livelli quantitativi altissimi. Secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale – riportato nel libro – il denaro sporco muove tra il 3 e il 5% del Pil di tutto il mondo: solo negli Stati Uniti si parla di una cifra che oscilla tra i 600 e i 1.500 miliardi di dollari, ovvero l’intera economia italiana. Nel nostro paese poi le cifre sono ancora più inquietanti. “In Italia – annotano sempre gli autori – ogni giorno l’industria del riciclaggio produce 410 milioni di euro, 17 milioni l’ora, 285 mila euro al minuto, 4.750 euro al secondo”.

In questo turbine di cifre appare quindi ancor più interessante  il ritratto che Grasso e Bellavia forniscono sul modus operandi dei riciclatori. Si va dal classico caso dei “prestanome”, utilizzati spesso per acquistare attività commerciali di ogni tipo, ai casi dei “prestaconto” ovvero persone incensurate che mettono a disposizione i propri conti correnti alle associazioni criminali. Diverso il caso dei fiumi di denaro che prendono la via dei paradisi fiscali, magari frazionati in conti più piccoli e nascosti in società anonime.

Ma se il denaro virtuale è potenzialmente tracciabile, un discorso diverso va fatto per i contanti. Che in momenti di profonda crisi come quello attuale diventano vitali per i sistemi bancari che vengono ancora più inquinati dal denaro sporco. Antonio Maria Costa, ex direttore dell’Ufficio per la lotta alla droga e al crimine delle Nazioni Unite, sospettava che dopo il fallimento della Lehman Brothers del 15 settembre 2008, alcune banche si fossero salvate grazie ai capitali liquidi investiti dai narcos colombiani. Su circa 1.500 miliardi di dollari di cui aveva bisogno il mercato interbancario, ben 350 arrivarono dalla vendita di cocaina colombiana nel mondo. L’avvertimento restò inascoltato e Costa fu sostituito dal russo Iuri Fedotov. Con il risultato che oggi il riciclaggio in Italia rappresenta da solo il 10 % del Pil, ovvero circa 150 miliardi di euro. Un fatturato che attesta la holding del riciclaggio come la prima azienda del paese, davanti a colossi come Eni, che fattura 120 miliardi, staccando nettamente Unicredit, fermo a quota 92.

In Soldi Sporchi, Bellavia e Grasso snocciolano fatti, nomi e numeri, cercando di dare un’ accurata biografia a questa cascata abbondante di denaro illecito che inquina ogni giorno l’economia mondiale: una vera e propria descrizione ordinata di quest’ ondata oceanica di banconote rosso sangue, spesso mimetizzate egregiamente in tasche all’apparenza candide, ma non per questo veramente pulite.

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