Vederlo lì in un baretto fuori dal Tribunale di Milano, solo e abbandonato, nessuno che gli rivolga la parola, gli chieda un autografo o una barzelletta, gli gridi meno male che Silvio c’è, fa tenerezza. Sentirlo rispondere dalla tribuna vip del Milan a una domanda sul fisco “non so, ormai non conto più niente”, fa quasi pena. Almeno a chi non lo conosce. L’ultima maschera del Cainano è quella del povero vecchietto innocuo, dell’anziano guitto a fine carriera. Uno da lasciare in pace, anzi da ignorare, perché ora bisogna guardare avanti senza spirito di vendetta, anzi con un pizzico di gratitudine per tutti i sacrifici che ha fatto per noi, non ultime le dimissioni come estremo “atto d’amore per l’Italia”, purtroppo travisate dalla solita “piazza dell’odio”.

L’Operazione Amnesia, simile alla strategia della sommersione adottata da Provenzano dopo le stragi volute da Riina, è una nuova versione dell’eterno “chiagni e fotti”, che presto sfocerà in una campagna elettorale tutta basata su vittimismi vecchi e nuovi: i poteri forti nostrani e forestieri, l’euro, la culona tedesca, il De Funès francese, le solite toghe rosse che si portano su tutto. E infine, quando monterà il malcontento per i tagli del governo Monti, un’agile piroetta per fingere di averlo sempre contrastato e le solite litanie sulla sinistra delle tasse.

Nell’attesa, mentre Angelino Jolie gioca al piccolo segretario vaneggiando di congressi e primarie come se fosse davvero il leader Pdl, il Cainano pensa alla roba sua. Il vicemonti è un clone di Letta, Catricalà, che ha dato buona prova all’Antitrust senza mai vedere il trust Mediaset e conflitti d’interessi collegati, ma in compenso nel 2008 sgominò il cartello dei fornai (la celebre multa di 4. 430 euro all’Unione Panificatori, e non una per ciascuno: una per tutti). Alle Comunicazioni c’è Passera, che di conflitti d’interessi se ne intende, dunque non disturberà il suo. Alla Giustizia c’è la Severino, ex avvocata Fininvest, e non abbiamo ancora visto i sottosegretari (gira persino il nome della signora Iannini in Vespa). La Rai è sempre in buone mani e Minzolingua continua imperterrito a dirigere il Tg1. Tutto come prima, ma con un vantaggio in più: nessun attacco, nessuna polemica, tutto dimenticato. E, se qualcuno si azzarda a ricordare che le dimissioni le ha date proprio per il conflitto d’interessi (i titoli del gruppo colavano a picco, Doris lo chiamò e disse “molla la Lega, pensa alle aziende”, come ha confermato ieri Bossi: “B. s’è dimesso perché l’hanno ricattato con le aziende”), scatta immediata la litania dei servi: “Ecco, gli antiberlusconiani sanno parlare solo di lui, temono di restare disoccupati”.

Se al “chiagni” provvede l’amnesia generale, al “fotti” ci pensa Mediaset. È notizia dell’altroieri l’ennesima causa milionaria di Mediaset contro un giornalista che non si piega: Santoro, che il 1° luglio aveva osato ipotizzare, dietro l’inspiegabile retromarcia di La 7, prima interessata a lui e poi non più, “un intervento esterno per bloccare un terzo polo tv che poteva diventare dirompente per il duopolio Rai-Mediaset”. E a questo intervento esterno aveva dato “un nome e un cognome: conflitto d’interessi. Politico e industriale. Un’azienda, Mediaset, occupa governo, Parlamento, Autorità, Rai e piega tutto al proprio tornaconto”. Ora però Mediaset dovrà denunciare anche quel tizio che nel 2000 disse: “Se B. non fosse entrato in politica, noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera per mafia”; e nel 2010 aggiunse: “Il conflitto d’interessi ormai è endemico: scegli B. e prendi tutto”. E poi quell’altro che nel 2008, dopo le elezioni vinte da B., dichiarò: “Mediaset l’ha scampata bella, la legge Gentiloni era un pericolo”; e nel 2010, quando Fini chiese la sfiducia al governo B. e Mediaset crollò in Borsa, osservò: “Sull’andamento del titolo la politica pesa più della crisi”. Il primo si chiama Fedele Confalonieri, presidente Mediaset. Il secondo Piersilvio Berlusconi, vicepresidente Mediaset. Diffamatori.

Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2011

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