Mentre Mario Monti si prepara a un’altra settimana cruciale, in particolar modo sul fronte internazionale (martedì è a Bruxelles per incontrare a pranzo il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy; giovedì sarà a Strasburgo per un vertice a tre con Nicolas Sarkozy e Angela Merkel) nel Pdl esplode la resa dei conti su Giulio Tremonti, Gianfranco Fini rilancia la necessità di abbattere i costi della politica (col sostegno indiretto anche di Antonio Di Pietro) e continua il battibecco sulla questione dei sottosegretari.

Nonostante il neopremier abbia dimostrato nei giorni scorsi assoluta fermezza e autonomia decisionale, in molti insistono nel voler dettare l’agenda governativa, seppur senza più entrare nello specifico. Come fa Angelino Alfano. “Saremo leali ma non subalterni e quindi, se ci saranno deviazioni e forzature, non avremo esitazione a negare il nostro sostegno. In sostanza saremo leali con chi sarà leale con noi”, ha detto il segretario del Pdl. In linea anche Fabrizio Cicchitto: “Saremo leali nei confronti del governo, se lui sarà leale nei nostri ma non giocheremo a buttarlo giù”, ha garantito il capogruppo alla Camera del Pdl. Dichiarazioni che confermano ulteriormente la volontà del partito del Cavaliere di voler tenere in piedi l’esecutivo Monti il tempo necessario a riorganizzare il Pdl, trasformandolo in una macchina da voti. Ma il percorso appare lungo. Così come certo è l’inizio della campagna elettorale, altrettanto lo è la resa dei conti interna. Il primo nemico è Tremonti. A dare il fuoco alle polveri ci ha pensato Cicchitto, definendo le politiche di Tremonti il “punto debole” dell’esecutivo Berlusconi; poi supportato dall’ex ministro Renato Brunetta.

Appare invece compatto come non mai il Terzo Polo che, con i suoi leader nazionali Fini, Pierferdinando Casini e Francesco Rutelli, da Verona parla al Paese, tutto, e rilancia le ragioni di una forza politica “tranquilla ma non immobile” che si “candida a guidare il Paese”.  Fini e Casini, in particolare, hanno garantito l’impegno a “cancellare il vitalizio agli ex deputati”, ha detto il presidente della Camera. “Non ci sarà alcuna difesa corporativa”, ha aggiunto il segretario dell’Udc. Ma Fini mostra preoccupazione per la situazione attuale, pur dichiarandosi soddisfatto e fiducioso del buon esercizio dell’esecutivo. “Questo è l’ultimo governo in grado di far uscire l’Italia dalla crisi. Se dovesse fallire, non fallisce solo il governo Monti ma rischia di fallire l’Italia intera“, ha ammonito Fini.

L’eppure l’esecutivo del professore deve ancora prendere una forma definita: mancano i sottosegretari. Ma tutti, dall’Idv al Pd, sembrano essere d’accordo: siano solo tecnici come i ministri. “Non deve esserci nessuna spartizione e nessun parlamentare deve sedere al governo”, ha sentenziato Antonio Di Pietro. In linea con Maurizio Gasparri, Roberto Formigoni, Renato Brunetta che si sono così scagliati (per lo più) contro il bigliettino inviato da Enrico Letta a Monti ieri in cui offriva al premier la disponibilità a dialogare sui sottosegretari. “I sottosegretari li analizzeremo uno per uno e faremo loro gli esami del sangue, e basta bigliettini”, ha tuonato Renato Brunetta. “I poteri forti ci sono e li mostreremo uno per uno e ci sono i conflitti di interesse e li dimostreremo uno per uno”.

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