Li hanno trovati morti la notte del 23 marzo 1988: seminudi, bagnati, con lividi e ferite. Marirosa e Luca. In quel piccolo bagno, a casa di lei, buttati tra il muro e la vasca, spostati da una posizione all’altra, fotografati due volte per dimostrare verità diverse, portati via in fretta e sepolti senza nemmeno un’autopsia. Perché i due fidanzatini di Policoro dovevano essere morti per sbaglio: una scossa elettrica uscita misteriosamente da una presa sul muro, fu la prima – ridicola – spiegazione (con relativa perizia per cui l’esperto di turno finì sotto indagine, salvato dalla prescrizione). Allora, ecco un’altra ipotesi: avvelenamento da monossido di carbonio causato dalla stufetta, tesi ancor più ardita per due giovani forti e sani, trovati con lividi e tagli sulla testa.

Marirosa e Luca, vivi o cadaveri, sono rimasti sempre insieme. Ma da ieri sera sono separati: lei è stata tumulata ancora una volta a Policoro, il paesino dove si sono conosciuti e amati vicino Matera, lui invece è nella chiesetta del cimitero, ma sarà portato altrove perché sua madre, Olimpia, non vuole veder seppellita per sempre la verità. “Dopo averli tenuti un anno all’istituto di Bari li hanno rimandati qua – spiega Olimpia – Ma noi abbiamo chiesto una nuova perizia dopo aver visto quella con cui la Procura si appresta a valutare per l’ennesima volta il caso: abbiamo paura che vogliano archiviare tutto, come hanno sempre fatto finora. E allora io mi sono incatenata al cimitero: per non fare entrare Luca, per tentare fino all’ultimo di far venir fuori la verità”. Una verità che anche Luigi De Magistris, nel 2007, aveva cercato di scovare nel groviglio dell’inchiesta Toghe Lucane. Anche in quel caso Matera archiviò, e tutto fa pensare che si possa arrivare ora allo stesso risultato: dopo 23 anni. Conferma l’avvocato di famiglia, Francesco Auletta: “Questa fretta ci fa temere che il Gip possa chiedere l’archiviazione dopo che, faticosamente, siamo riusciti a trovare nuovi spunti per procedere”. Ovvero la perizia di un collegio di alto profilo, guidato dal criminologo Cosimo Lorè: “Gli esami effettuati per dimostrare l’avvelenamento da carbonio sono assai poco credibili – spiega Auletta – occorre ripartire da zero con le indagini per fare finalmente un lavoro serio”.

Olimpia, la mamma di Luca Orioli, non ha mai creduto alla storia dell’incidente. Sa che qualcosa di oscuro è successo a casa di Marirosa Andreotta, e non può smettere la sua battaglia per capire chi abbia davvero ammazzato i due giovani. La stufetta? “Davvero difficile sostenere questa ipotesi – continua Domenico Mastrangelo, altro esperto incaricato dalla famiglia di Luca -. L’avvelenamento dà sintomi chiari, due ragazzi giovani e sani avrebbero potuto certamente reagire, ma il guaio vero è che nessun esame corretto è stato condotto nel momento decisivo, subito dopo la morte. Ciò non significa che sia ancora possibile ottenere informazioni dai cadaveri, ma servono metodologie accurate, serie, quelle che fin qui nessuno ha utilizzato”. Per questo Olimpia ha tenuto Luca lontano da Marirosa, per salvarlo dall’oblio. “La famiglia della ragazza ha rinunciato a lottare, li capisco pure – dice la signora con le catene intorno al petto – Io ancora ho la forza di resistere e vado avanti. Per tutta l’Italia, perché questa è un’indecenza per tutti gli italiani”. Il cancello del piccolo cimitero resta chiuso, il furgone funebre passa dal retro. La gente non può entrare, Marirosa torna sottoterra, Luca è nella chiesetta.

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