Dei 172 firmatari, 42 appartengono all’università di Bologna (compresi i poli di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini) mentre ulteriori 11 sottoscrittori provengono dagli altri atenei dell’Emilia Romagna, soprattutto da quelli di Parma, Modena e Reggio Emilia. Fanno parte dei “Docenti preoccupati”, coloro che – lasciando gli ambiti delle aule accademiche – hanno preso carta e penna virtuali e si sono rivolti direttamente al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per lanciare un appello contro la legge bavaglio. Quella che, se approvata, scartando le intercettazioni come strumento d’indagine per troppi reati, avrà ripercussioni anche sul lavoro dei giornalisti, impossibilitati a usarne qualsiasi parte fino alla cosiddetta “udienza filtro” che stabilirà cosa si potrà o meno pubblicare.

L’iniziativa indirizzata a Napolitano è stata organizzata in pochi giorni e raccoglie una prima bozza partita da un docente napoletano che è stata discussa ed elaborata all’interno del nucleo originario dei “Docenti preoccupati”, di matrice emiliano-romagnolo. Di qui spiegata la percentuale consistente che li rappresenta rispetto al totale di accademici firmatari. Ma si è trattato di un volano iniziale che ha dato il via a una reazione a catena in tutta Italia. L’appello è stato infatti adottato da docenti del politecnico di Torino e da quelli dell’università di Sannio per passare attraverso gli atenei e i centri di ricerca di Cagliari, Siena, Napoli, Pisa, Catania, Palermo, Macerata, Messina e Trieste, per citare solo una parte delle località coinvolte. Un’unità d’Italia che passa dunque attraverso la dorsale della ricerca, della cultura e dell’innovazione italiana e che si dice fiduciosa nel giudizio del presidente Napolitano.

Nel testo elaborato dai “docenti preoccupati” e diffuso attraverso il blog omonimo si parla dunque direttamente al capo dello Stato dichiarandosi “certi di trovare accoglienza […] nel chiederle di evitare questo ulteriore schiaffo alla cultura, alla libertà e alla civiltà che rappresenterebbe l’adozione della […] ‘legge bavaglio’”. Il coordinamento di docenti che lavorano presso strutture pubbliche e che si sono riuniti intorno al testo-manifesto “Università. Riformarla o distruggerla” successivo al decreto del ministro Maria Stella Gelmini, prosegue poi affermando: “Presidente, dovremo affrontare grandi sacrifici e lo faremo per il Paese, ma non vogliamo ‘tagli’ della democrazia e della libertà. Lei è il primo difensore dei principi della Repubblica nata con la Resistenza e milioni di italiani confidano in lei, oltre che tutto il mondo della giustizia, dell’informazione, dell’università e della cultura in genere”.

Un testo breve e che lascia scarso spazio ai fraintendimenti: il messaggio infatti è che quella legge non deve essere applicata pena il decadimento – fino all’annullamento – del livello di qualità dell’informazione che i media potranno offrire, in tema giudiziario, ai propri utenti. “Anche questa volta, come accade da un anno a questa parte, siamo partiti da un gruppo telematico che funziona come una lista di discussione”, dice Sergio Brasini, uno dei “docenti preoccupati” che insegna statistica economica presso l’ateneo bolognese. “Qui discutiamo anche di argomenti non di stretta pertinenza universitaria e parlare della legge bavaglio è la naturale prosecuzione di un’attività che ha a che fare innanzitutto con le libertà di tutti i cittadini”.

E prosegue Brasini: “Il ddl in discussione è un attacco a cui non si può rimanere indifferenti perché colpisce stampa e magistratura, poteri che si sono sempre caratterizzati – soprattutto in riferimento alla magistratura – da una forte indipendenza dalla politica. E se la predominanza emiliano-romagnola è dovuta a una questione organizzativa, dato che il dibattito si è sviluppato all’interno delle liste bolognesi, siamo ben contenti che si sia allargata a macchia d’olio attraverso un processo di gemmazione che ormai sta coinvolgendo gli atenei di tutto il Paese. E devo dire che non è stata un’operazione difficile: un appello del genere parla da solo, non occorre convincere nessuno a firmarlo”.

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