Hanno sfidato la pioggia, il freddo ormai autunnale e sono riusciti nel loro intento. Urlare al cielo l’indignazione contro l’attuale politica bolognese fatta di tagli, di giochi a ribasso, di sussidiarietà e, soprattutto, di privatizzazione. I protagonisti di una serata all’insegna della protesta, sono loro, gli ormai precari del welfare, che insieme ai colleghi degli asili nido e ai dipendenti dei trasporti pubblici, coordinati dal sindacato di base, hanno deciso di illuminare il buio delle vie del centro avvolte dalla notte, con una ‘fiaccolata-padellata’. Quasi che i rumori assordanti dei mestoli e delle pentole (un po’ come accadde per chi protestava in Argentina a fine anni Novanta, n.d.r.) uniti alle luci forti e decise della fiaccole, fossero la vera anima di un’iniziativa volta a chi, a detta di tutti i partecipanti, “continua ad essere sordo e cieco”.

“Scendiamo in piazza per le vie della nostra città – urla al megafono Massimo Betti, segretario regionale Usb – per combattere le politiche di macelleria sociale che l’amministrazione comunale sta continuando a mettere in atto. Parliamo della privatizzazione degli asili nido, della privatizzazione dei trasporti pubblici per non parlare poi della nuova politica del welfare, una sussidiarietà che sostituirebbe gli educatori professionali con semplici volontari. Vogliamo che la nostra voce arrivi non solo al sindaco Virginio Merola, ma vada a colpire anche i dogmi dell’arcivescovo Carlo Caffarra. E urliamo che siamo stanchi e nauseati dalla solita minestra che manda al trito i lavoratori. Diciamo no al ‘sacco di Bologna’ che non fa l’interesse dei cittadini ma solo quello dei privati”.

Parole che hanno risuonato nel via vai di molti passanti che, incuriositi, si sono fermati per un istante ad osservare il frastuono che riempiva il lento e silenzioso spegnersi delle attività lavorative di via Indipendenza. Loro, gli indignados della prima notte autunnale della stagione, sono convinti di quanto risulti ormai necessario combattere una politica che non rispetta i loro diritti lavorativi.

“Io lavoro per l’Atc da anni – racconta Gianni – e sto assistendo alla volontà ormai imminente di privatizzare i trasporti pubblici. Percorrendo questa via si arriverebbe ad un taglio pari al 75% dei finanziamenti. Il che comporterebbe in sostanza al fallimento dell’azienda. Svendere ai privati causerebbe un notevole abbassamento della qualità del servizio, ma la cosa più vergognosa è che i cittadini bolognesi resterebbero a piedi. Se togli il trasporto pubblico la città collassa”.

E poi denuncia amaramente la grave situazione che sta vivendo nell’ultimo periodo. “Sono 25 giorni che lavoro e sostituisco un mio collega senza avere un giorno di riposo. E se vai a lamentarti sai che ti dicono? Che non hai voglia di lavorare. Molti miei colleghi non si vogliono nemmeno più iscrivere ai sindacati o farsi vedere mentre parlano con qualche delegato. Questo perché hanno paura di perdere il lavoro”. Insomma i diritti sembrano ormai essere un miraggio, o addirittura, nel peggiore dei casi, una richiesta scomoda e del tutto fuori luogo.

Anche Antonella, sta attraversando un periodo difficile, dove la sua competenza lavorativa si scontra con chi, di competenza, non ne ha : “Sono educatrice in una scuola del quartiere Navile – racconta – e da quando sono ricominciate le lezioni, un bimbo con gravi handicap, sordità e cecità, non viene seguito da nessuno. O meglio viene assistito da un mio collega che però non ha competenze per farlo, ovvero non conosce la comunicazione aumentativa che cerca di sfruttare quel po’ di vocalità che riesce ad esprimere. Io sono esperta in questo però non mi è stato permesso di seguirlo. E poi ci sono le vergogne dei nuovi bandi emessi per l’assistenza domiciliare, quella scolastica e dei servizi integrativi che ormai sono esclusivamente aperti ai volontari. Ma la nostra professionalità dove la vogliono mettere, sotto i tacchi delle scarpe?”.

Non dissimile resta la triste situazione dei dipendenti degli asili nido che continuano a combattere contro una privatizzazione che nessuno vuole. “Arrivare alla privatizzazione – denuncia Antonio – comporterebbe una difficile convivenza tra i dipendenti pubblici e quelli privati, che verrebbero sottopagati. Mi domando: ma perché invece di razionalizzare le risorse nei settori indispensabili alla cittadinanza non iniziano a farlo dalla sede comunale di piazza Liber Paradisus? Perché dobbiamo andarci di mezzo noi lavoratori?”.

di Carmen Pedullà

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