E’ sempre più in ribasso il borsino del governo Berlusconi e si moltiplicano i segnali di una fine prematura. Oggi la Padania sintetizza nel titolo di prima pagina la road map di Umberto Bossi: “Riforme, legge elettorale e voto”. Perché, ribadisce il segretario della Lega, “il 2013 è troppo lontano per andare le urne”. Poi ci sono i frondisti interni al Pdl, raccolti intorno agli ex democristiani Claudio Scajola e Beppe Pisanu, che non si limitano a pranzi e cene in buoni ristoranti romani, ma avrebbero già preparato una bozza di documento che chiede a Berlusconi di farsi da parte per il bene del Paese. Tutto questo dopo che ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto un riferimento trasparente all’ipotesi di un governo di transizione, anzi di “tregua”, come quello presieduto da Giuseppe Pella nel 1953.

E certo anche i fedelissimi di Berlusconi qualche problema cominciano a porselo. Basta ascoltare le parole del ministero degli Esteri Franco Frattini, intervenuto a Radioanch’io, a proposito del “caso” Forza Gnocca: “Il presidente del Consiglio ha una tendenza irrestibile a fare battute. Molti di noi dovrebbero cercare di aiutarlo a comprendere quale è il momento per fare una battuta e quale no”. Una tutela di cui di solito i capi di governo non hanno bisogno.

Neppure l’altro fedelissimo – sia pur per convenienza – Umberto Bossi è disposto a dare ulteriore credito al Cavaliere. Per il senatùr è “meglio votare prima”, riporta oggi la Padania. “E’ obiettivamente complicato arrivare al 2013. E’ difficile spennare la gente e poi farsi votare: meglio votare prima. Io l’ho detto a Berlusconi”. Prima di sciogliere la compagine, però, Bossi vorrebbe vedere approvato un piano per lo sviluppo e la legge elettorale voluta dai referendari.

All’interno del Pdl, i parlamentari i dissidenti sono diverse decine: le stime arrivano a circa 45. L’area coaugulata intorno a Scajola e Pisanu, scrive oggi l’Unità, avrebbe già messo nero su bianco la bozza di un appello “al senso di responsabilità”, con l’obiettivo di “una transizione guidata”. Insomma, un governo alternativo da far nascere dentro il Palazzo, perché “una campagna elettorale in questo momento sarebbe un disastro per l’Italia” , e quindi “bisogna scongiurare le elezioni antricipate”.

Su questi sommovimenti cala la benedizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che parlando ieri a Biella ha ripescato la storia di Giuseppe Pella: “Nel 1953 fu incaricato di formare il governo dal presidente Einaudi. C’era bisogno di un governo di tregua e il suo fu un tentativo importante e positivo, non durò molto ma servì”. Pella divenne premier dopo il fallimento dell’ultimo esecutivo De Gasperi, che non ottenne la fiducia. Il suo “governo d’affari” o “amministrativo”, messo in campo soltanto per approvare il bilancio, fu a tutti gli effetti l’antenato di quello che oggi si chiama “governo tecnico”.

E il diretto interssato? Silvio Berlusconi non pare intenzionato a farsi da parte di sua spontanea volontà. Lo ribadisce in un messaggio ai promotori della Libertà, nel quale rispolvera il refrain secondo il quale per lui restare al governo è “un sacrificio”, ma lo fa perché una crisi sarebbe “l’ultima cosa di cui l’Italia in questo momento ha bisogno”. Le elezioni anticipate -aggiunge- “non servirebbero a nulla”.

Stamattina Berlusconi ha lasciato Roma per andare a Mosca: è il compleanno di Vladimir Putin.

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