Condannato per mafia. E scarcerato due giorni dopo perché i termini della custodia cautelare sono scaduti ormai da tempo. Succede a Milano, dove il 27 settembre scorso il gup Andrea Salemme ha condannato a nove anni Carmine Valle, figlio di don Ciccio, influente padrino di quella ‘ndrangheta che da tempo ormai sta colonizzando la Lombardia.

Il cortocircuito è dovuto a un problema tecnico. Eccolo spiegato: a differenza di molti componenti del presunto clan, il giovane Valle, nel gennaio scorso, sceglie di venir processato attraverso il rito abbreviato. Il punto è decisivo. In questo caso, infatti, i termini della custodia cautelare in carcere scadono dopo sei mesi dalla richiesta dell’imputato del rito processuale. La tempistica per la scarcerazione nel procedimento ordinario supera, invece, l’anno.

Il processo, condotto dal giudice Salemme, però, sfora il tetto e si conclude in oltre otto mesi. L’errore è marchiano. Gli avvocati di Valle lo sanno bene. E così a luglio fanno richiesta di scarcerazione. La legge è dalla loro parte. Salemme però respinge la richiesta. In realtà, il giudice, approdato al Tribunale di Milano circa due anni fa, sa bene che è solo questione di tempo. Così sarà. Il 29 settembre il Riesame accoglie la richiesta dei legali e rimette in libertà Carmine Valle, ma anche Bruno Saraceno, definito “factotum della cosca” e che lo stesso Salemme ha condannato a dieci anni.

Ricordiamo, allora, i fatti. Il giovane rampollo del casato mafioso, imparentato con influenti uomini della cosca De Stefano, come Paolo Martino, finisce in carcere il primo luglio 2010. L’operazione, coordinata dal procuratore antimafia Ilda Boccassini, fa scattare le manette per 15 persone. Dall’elenco spuntano nomi noti alle cronache mafiose, ma anche personaggi dell’imprenditoria lombarda. Tutti sono protagonisti di un disegno criminale che oltre all’usura, punta alla politica, ai grandi appalti e alla golosa torta del gioco d’azzardo. Il cocktail è esplosivo, la vicenda interessante. Il blitz della squadra Mobile di Milano va in scena in diverse località dell’hinterland. C’è la villa bunker di Bareggio in cui abita da anni l’anziano Ciccio Valle. Ma anche la Masseria di Cisliano, ristorante dagli arredi hollywoodiani. Nelle oltre trecento pagine il gip Giuseppe Gennari contabilizza un giro d’affari milionario.

I Valle sono ricchissimi. Possiedono società immobiliari, bar, palazzi, terreni. Un patrimonio occultato dietro a un rosario di prestanomi. Tra i locali della cosca c’è il bar Giada. Tre vetrine d’angolo in via Capecelatro a due passi dallo stadio di San Siro. Il titolare è la famiglia Fazzolari. Solo facciata. Perché la proprietà è di Carmine Valle. Il presunto boss, classe ’79, nato a Reggio Calabria, ma cresciuto sulla sponda sud del Naviglio, al bar Giada si comporta da padrone. Si mette in tasca gli incassi di brioche e caffé. Ma anche i soldi delle slot machine. Un bel tesoretto che il ragazzo regolarmente porta in dote al padre-padrino.

Per il gip il particolare risulta decisivo. E così, oltre a chiederne l’arresto per associazione mafiosa (Carmine Valle risulta partecipa dell’organizzazione), il giudice definisce in questo modo il suo ruolo: “Contribuisce al rafforzamento economico del sodalizio criminoso gestendo, attraverso i prestanome, La Giada srl affinché gli altri componenti dell’associazione possano eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale”. Di più: due imprenditori vicini alla cosca hanno dichiarato come “la Giada s.r.l.” fosse “totalmente riferibile ai Valle e materialmente gestita da Carmine Valle, fratello di Angela e Fortunato”. Tanto che gli stessi cellulari intestati alla famiglia Fazzolari venivano utilizzati dal figlio del boss.

Carmine Valle, durante il processo, ha preso le distanze dalla famiglia. Particolare che porterà il pm Paolo Storari a chiedere una condanna di 7 anni e 4 mesi. Il giudice, invece, l’ha aumentata di due anni. Oggi però il presunto affiliato alla ‘ndrangheta lombarda è ufficialmente un uomo libero. Su di lui non pesa alcuna restrizione. Ne pesarà, a meno che lo richieda il pm con una nuova ordinanza. Il rampollo del padrino, dunque, pur condannato per mafia, potrà tranquillamente girare indisturbato tra Vigevano, Bareggio e Milano.

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