Da oggi sui vostri schermi va in onda la lotta all’evasione: due spot che passeranno sulle reti Rai per un paio di mesi e faranno pure mostra di sé nelle stazioni e negli aeroporti di Roma e Milano. A commissionarli alla Saatchi and Saatchi è stata l’Agenzia delle entrate con l’idea – si presume – di creare a mezzo stampa quella censura sociale che gran parte del popolo italiano si rifiuta di comminare a chi si auto-diminuisce le tasse.

Il primo spot è un’animazione intitolata “Se” e dovrebbe ricordare ai cittadini, semmai non lo sapessero, che con le tasse si pagano i servizi pubblici. Il secondo dovrebbe essere invece un pregnante ritratto antropologico dei “parassiti che vivono alle spalle della società, succhiando risorse alla collettività”. Insomma, una sorta di chiamata alle armi della cittadinanza dopo quella, con scarsissimi esiti, con cui Giulio Tremonti invitò alla pugna i Comuni (trovate gli evasori e vi lascio un po’ di soldi). Meglio di niente, si dirà, eppure non proprio quella guerra totale all’evasione fiscale che sarebbe “la vera patrimoniale”, come ha detto Vladimiro Giacché, dirigente della Sator di Matteo Arpe oltre che editorialista del Fatto Quotidiano: “A causa di questa illegalità, ciascun contribuente in regola paga 3.000 euro all’anno di più; in concreto, negli ultimi 30 anni il lavoro dipendente ha pagato maggiori tasse per 870 miliardi”.

I redditi e guadagni non dichiarati al fisco – dati Istat di quest’anno – che oscilla tra i 255 e i 275 miliardi all’anno, il 16,3 e il 17,5 per cento in percentuale sul Pil: il mancato gettito è dunque quantificabile in 120 miliardi, otto punti di Pil, un’enormità. Come spiega il capogruppo dell’Idv alla Camera, Massimo Donadi: “Questa era ed è la vera priorità nazionale: potremmo dire che la guerra all’evasione è la tassa sulla furbizia. Voglio dire, però, che il prossimo governo dovrà recuperare quel gettito anche per dare un po’ di sollievo a famiglie e imprese tartassate in questi anni come non mai”.

Quello attuale di governo, invece, non pare intenzionato a procedere in maniera militare, anche per una ragione pratica in realtà: adesso i mercati vogliono vedere tagli di spesa e il recupero di gettito, essendo una previsione (spesso, nel caso italiano, sbagliata), non può essere messo a bilancio. Certo, lavorando oggi sui furbetti si potrebbe attenuare la portata dei tagli domani, magari nel 2013, quando la macelleria sociale sarà a pieno regime, ma non pare aria. Ad oggi la strategia del Cavaliere e del suo scudiero del Tesoro è quella di interpretare solo tecnicamente la lotta all’evasione, delegandola cioè all’Agenzia delle Entrate, salvo rivendicarne ogni tanto i (dubbi) successi. È accaduto anche ieri, quando la struttura diretta da Attilio Befera ha fatto sapere che riuscirà a riportare all’erario oltre 11 miliardi (vale a dire, un miliardo in più di quanto fatto nel 2010 e addirittura 2 rispetto al 2009). Ottimo risultato che però nasconde un possibile, spiacevole rovescio: visto che il numero degli accertamenti nel 2011 è diminuito del 20 per cento (da 221.831 a 177.340) se ne deve dedurre che è aumentato l’importo medio per controllo, il che generalmente significa che c’è più evasione non meno.

Dal Tesoro si giustificano: è merito delle “visite mirate” dell’Agenzia ai contribuenti ritenuti a rischio (quelli ricchi, visto che coi piccoli evasori il gioco non vale la candela), testimoniato anche dall’aumento delle “vittorie” in Tribunale. Non solo, dicono i tecnici, bisogna ringraziare anche il grande aumento di quanti scelgono l’adesione. E qui non ci siamo: significa che si fa uno sconto all’evasore – a volte assai rilevante, come fu per Valentino Rossi – finendo spesso per rendere poco attraente in ogni caso pagare le tasse per tempo. In altre parole, è un accordo al ribasso, non lotta all’evasione. Intanto, cominciano a dire in giro spalloni e commercialisti, oltre alla fuga dei cervelli è ricominciata pure quella dei capitali: hai visto mai che poi Tremonti fa un altro scudo fiscale e lo chiama recupero del gettito?

di Marco Palombi

da il Fatto quotidiano del 9 agosto 2011

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