Sito petrolifero a Bodo City nella zona del Delta del Niger

«E’ stato uno dei peggiori disastri petroliferi della storia, ma nessuno ci ha fatto caso fino a quando abbiamo fatto causa alla Shell». Così Martin Day, dello studio legale britannico Leigh Day & Co. ha commentato la decisione del colosso petrolifero anglo-olandese di accettare che sia un tribunale del Regno Unito a discutere la causa intentatagli per conto della comunità Bodo, una delle comunità dell’Ogoniland, nel Delta del Niger, la regione petrolifera della Nigeria.

Oggetto della causa sono una serie di incidenti verificatisi tra il 2008 e il 2009 agli oleodotti della Shell nell’Ogoniland. La compagnia petrolifera ha già accettato di riparare ai danni ambientali, alla distruzione di laghi, torrenti e falde acquifere che ha costretto interi villaggi ad abbondare le proprie terre. «Non era più possibile pescare – ha spiegato l’avvocato Day alla Bbc – Per questo moltissime persone sono partite, nel modo più misero possibile». Nonostante la Shell abbia riconosciuto la propria responsabilità, la causa potrebbe essere il preludio per una cospicua richiesta di risarcimento danni, che potrebbe a sua volta essere un precedente legale per le altre comunità del Delta colpite dagli effetti devastanti di oltre mezzo secolo di industria petrolifera.

I giacimenti del Delta del Niger – una regione grande come la Scozia, fatta di paludi, fiumi e laghi, dove vivono circa 20 milioni di persone – consentono alla Nigeria di essere il primo produttore africano di petrolio e l’ottavo esportatore mondiale. Tutta questa ricchezza, però, nei decenni è servita ad alimentare dittature militari, corruzione e uno sfruttamento selvaggio del territorio, di cui hanno fatto le spese proprio le comunità locali. L’Ogoniland, poi, è la terra degli Ogoni, un milione e mezzo di persone, uno dei 40 popoli del Delta, famoso per la campagna di opposizione alla Shell che nel 1995 portò all’impiccagione del poeta-attivista Ken Saro Wiwa, ucciso assieme ad altre otto persone dopo un processo farsa davanti a un tribunale militare della dittatura, con la complicità della stessa Shell.

Tra il 2006 e il 2010, poi, la regione petrolifera è stata teatro delle attività del Movimento di emancipazione del Delta del Niger (Mend), una formazione guerrigliera che ha colpito decine di impianti petroliferi, compresi quelli dell’italiana Eni, e rapito decine di tecnici dell’industria, rilasciati quasi sempre senza maltrattamenti. Dal 2010 il Mend ha ridotto le sue attività, sia per l’arresto del presunto leader del movimento, Henry Okah, sia per la politica di maggiore attenzione alle comunità locali portata avanti dal presidente nigeriano Goodluck Jonathan, originario di Bayelsa, uno degli stati del Delta, eletto ad aprile di quest’anno, che ha fatto della soluzione del decennale conflitto sull’impatto ambientale dell’industria petrolifera uno dei punti essenziali del proprio governo.

La decisione della Shell potrebbe essere collegata a un’altra notizia che riguarda la stessa vicenda. L’Onu, infatti, ha annunciato l’imminente pubblicazione di un rapporto sull’inquinamento petrolifero nell’Ogoniland, costato due anni di ricerche sul campo ai funzionari dell’Unep, il «braccio ambientale» delle Nazioni Unite. Per evitare l’accusa di voler insabbiare la storia, la Shell ha deciso di finanziare il rapporto dell’Unep, alimentando il dubbio che in questo modo se ne volessero condizionare gli esiti. Il fatto che la compagnia petrolifera abbia però accettato di andare in tribunale, in Gran Bretagna e non in Nigeria, induce però a credere che l’Unep abbia saputo proteggere la propria autonomia da eventuali intromissioni.

La causa durerà molto tempo, spiegano dallo studio Leigh Day & Co. e non potrebbe essere altrimenti vista la difficoltà tecnica di istruire un processo di questo tipo ma anche la sua rilevanza per la storia dell’industria petrolifera, tanto in Nigeria quanto nel resto del mondo.

di Joseph Zarlingo – Lettera22

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