Con questi chiari di luna sui mercati, i post sui blog invecchiano molto presto. Sembra di stare nel film “il governo più pazzo del mondo”, con il segnale ‘no panic’, ‘no panic’, ‘ok, panic’.

Per carità, sappiamo tutti che gli attacchi speculativi e gli andamenti borsistici seguono spesso andamenti erratici e contingenti. Io, personalmente, di finanza pura ci ho sempre capito poco, perché studio altri fenomeni, microeconomici. Ma due o tre cose che credo di intuire riguardano le correlazioni recenti tra determinati eventi finanziari e le decisioni politiche del governo.

Ora, premesso che un paese che si faccia dettare l’agenda politica ‘univocamente’ dal ‘mercato’ sarebbe un paese a sovranità limitata, non vi è tuttavia dubbio che assistiamo da parecchie settimane a una certa sistematica relazione tra ‘uscite’ del governo italiano e reazione (avversa) dei mercati. Si tratta di giochi pericolosi, spesso di bluff, con aspettative sbagliate che tuttavia si autorealizzano.

In questo contesto, non conta solo l’intensità degli interventi di politica economica, ma anche la chiarezza e, soprattutto, la credibilità del governo.

Personalmente credo che la Consob abbia fatto bene a minacciare un qualche intervento per sterilizzare gli attacchi speculativi sulle ‘vendite allo scoperto’, che altro non sono che scommesse circa la capacità dello stato di onorare il suo debito. Tuttavia la misura adottata è stata debolissima (mero obbligo di comunicazione) e ha dato al mercato un segnale di debolezza: siamo preoccupati, non fateci del male!

Dopo l’ultima plenaria in parlamento, che avrebbe dovuto rassicurare mercati e cittadini, abbiamo superato, come spread con i titoli tedeschi, persino la Spagna e, sinceramente, i fondamentali del nostro paese non lo meriterebbero. Ad oggi.

Come molti hanno osservato, la reazione stessa del governo è stata tardiva e terrorizzata, priva di strategia e incerta nei numeri e nei tempi (ai mercati, di un pareggio di bilancio al 2014 importa poco). Il dato peggiore non viene dai mercati tuttavia, ma dall’Istat. Ad oggi cresciamo meno dell’1% annuo. La nostra vera malattia sta tutta lì. E’ la limitatissima crescita a rendere le nostre misure poco credibili.

Non le misure di contenimento del debito. Se cresciamo poco, le stangate servono solo a tenere botta, ma non producono vie per uscire da quella che si prospetta una stagione di depressione per l’Italia. Se crescessimo di più, potremmo parlare più credibilmente di capacità di gestire il debito e di ridurlo. Se ci limitamo alle stangate e ai tagli ‘stock’, recuperiamo equilibrio finanziario di breve periodo (in parte bruciato dalla crescita dall’andamento delle vendite allo scoperto sui ns titoli di stato) ma perdiamo credibilità nella prospettiva di una crescita economica durevole.

Serve una forte discontinuità. Lo hanno detto in Italia, gli economisti Boeri e Boldrin, tra gli altri. Ma lo hanno detto anche Draghi e Trichet. Il capo del governo ha ribadito a un parlamento già vacanziero di reputarsi razionale nelle proprie decisioni mentre sarebbero le aspettative del mercato ad essere folli. Ci auguriamo abbia ragione, perché se fosse il contrario, si annuncerebbero tempi duri e tristi. Intanto, ahimé, i mercati non solo non credono al Governo, ma nemmeno alle imprese del Premier, cui lo stesso ha fatto riferimento ieri, invitando gli investitori a sceglierle.

Dal 14 dicembre scorso, le quotazioni delle imprese del premier mostrano un costante segno meno. Sarà che gli investitori sono irrazionali e non capiscono nulla di politica, ma sembrerebbe abbiano già bocciato il premier, nel governo e nel mercato. Certamente gli investitori non sono Responsabili. Non sembrano scommettere su questo governo. Se fosse davvero cosi, saremmo nella curiosa situazione nella quale non servirebbe più, come spesso declamato, la governabilità per combattere la crisi e la sfiducia dei mercati, ma il suo contrario. Le elezioni.

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