di Antonio Pascale
Se oggi, a caso, fermassimo le persone e chiedessimo loro se ritengono che il nostro pianeta sia da salvaguardare, sono pronto a scommettere che tutti gli intervistati direbbero di sì. Questa viva sensibilità è indubbiamente un merito dei vari movimenti ecologisti. Se però ponessimo una domanda più precisa, ossia, attraverso quali tecnologie intendiamo salvaguardare il nostro pianeta, allora, cominceremmo a litigare. Per esempio, per abbassare la dose di chimica – che per forza dobbiamo impiegare per proteggere i raccolti – vogliamo usare delle piante costruite per difendersi da sole contro gli insetti (volgarmente chiamate ogm) o preferiamo seguire i radicali dettami dell’agricoltura organica? Allora, le differenze vengono fuori e sembrano anche insormontabili.

Il motivo è che tendiamo irragionevolmente a pensare a una determinata tecnologia come un fine etico e non come uno strumento per porre rimedio a un problema. In questo modo, l’ecologista rischia allora di assumere una posizione religiosa che spesso sfiora l’integralismo. Ci sarebbe bisogno di un ecologista razionale, capace di ragionare sui problemi e sempre con cognizione di causa. E l’ecologista ragionevole è il libro di Patrick Moore (Dalai).

Moore è stato tra i fondatori di Greenpeace (1971), per poi abbandonare l’associazione. Il libro è interessante soprattutto perché è una sorta di autobiografia ragionata del movimento verde. La prima parte racconta le avventurose ed entusiasmanti gesta di alcuni ragazzi molto motivati a cambiare la sensibilità delle persone. Moore è fra questi, anzi è proprio quello che inventa alcune campagne – quelle contro la caccia alle foche o alle balene – che tanto hanno entusiasmato la nostra anima ecologista. Però, poi, c’è una seconda parte, diciamo così, della maturità.

Moore si rende conto con sorpresa che le buone intenzioni e gli aggettivi fatati non bastano, anzi spesso risultano non solo ricattatori, ma del tutto incongrui alla risoluzione di alcuni problemi Il casus belli è l’avvio, da parte di Greenpeace, di una campagna per la messa al bando del cloro. È il momento in cui Moore si rende conto che tra i vari dirigenti, lui, è l’unico ad avere una formazione scientifica, dunque, abituato a ragionare attraverso un metodo analitico, del tipo: è la dose che fa il veleno.

«Ricordai loro che l’aggiunta del cloro all’acqua potabile costituisce il più grosso progresso della storia della salute pubblica, avendo salvato centinaia di milioni di persone dal colera, febbre tifoidea e altre malattie. Spiegai che la composizione di oltre il 75% dei nostri farmaci – antibiotici compresi – contiene cloro». Insomma i problemi ci sono, ma non li risolveremo mai senza cultura e competenza.

La seconda parte del libro diventa quindi un’approfondita analisi degli strumenti che abbiamo (e che, nel futuro prossimo, avremo) a disposizione, per analizzare i problemi e valutare i costi e benefici di una determinata scelta tecnologica. Caso per caso, senza litigare, integrando le conoscenze e seguendo un metodo scientifico rigoroso.

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