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Referendum: bandiere, punizioni e “spioni”

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Una volta si denunciava il proprio vicino di casa perché ascoltava Radio Londra (l’emittente più amata dai comunisti durante il Ventennio). Si andava dall’Ovra e si segnalava il traditore. La polizia del regime non se lo faceva dire due volte: armata di manganello e olio di ricino, bussava alla porta del vicino.

In altre parole, una volta si faceva la spia.

Settant’anni dopo (cioè oggi), si denuncia il vicino perché appende al balcone la bandiera del referendum per l’acqua pubblica. E’ successo pochi giorni fa in provincia di Reggio Emilia, in un comune di appena 13 mila abitanti. Uno di quei paesi dove si conosce il fornaio e in cui bambini vanno a scuola a piedi. Ebbene qui, una donna, o meglio, una consigliera del Pdl, si è messa a denunciare i propri concittadini. Ha preso carta e penna, si è annotata gli indirizzi delle finestre da cui pendevano le bandiere “Sì all’acqua pubblica”, e uno ad uno li ha denunciati alla polizia. Non contenta, si è presa la briga di suggerire ai vigili l’importo della multa (svariate centinaia di euro) con cui ‘omaggiare’ le famiglie indisciplinate.

A prescindere dalla validità della legge del 1956 rispolverata (con tanto di starnuto) dall’esponente del Pdl, secondo la quale a trenta giorni dal referendum non si può fare propaganda, salta all’occhio il gesto: mandare i vigili a casa delle persone – e ci sono andati – per delle bandiere appese in mezzo ai gerani del balcone. Chiedere che vengano puniti con una multa da 700 euro o più. I tuoi vicini di casa. Ecco l’aspetto più agghiacciante di questa vicenda.

La spia qualcuno la fa ancora oggi.

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