“Io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia, senza applausi o fischi”. Versi di Francesco Guccini, da L’avvelenata, album Via Paolo Fabbri 43. Eccolo il musico, fin dal ‘76 a dare le coordinate etiche e professionali sul modo di essere e stare sul palco. Guccini di cantate dal vivo se ne è fatte davvero tante. Giorni fa abbiamo scritto che saranno stati più di 500 concerti in quarant’anni di carriera. Boiata? Forse. Impossibile verificarlo se non andando in libreria da oggi per sfogliare avidamente Francesco Guccini in concerto, volumone da 256 pagine, edito da Giunti, a firma di due signori esperti di musica italiana come Claudio Sassi e Odoardo Semellini.

Francesco Guccini in concerto è prima di tutto atto devoto e dettagliato di un elemento imprescindibile e caratterizzante della carriera gucciniana: il concerto dal vivo. “Ci siamo resi conto che quella di Guccini sul palco è una storia straordinaria per niente pigra come si ama dire, e per niente facile”, raccontano nell’introduzione Sassi e Semellini, “soprattutto fino al 1983, anno in cui Francesco inizia a esibirsi con la band inaugurando una formula di spettacolo che ancora oggi lo vede protagonista. Fino a quel momento le esibizioni si svolgono in modi e ambiti ai limiti dell’informalità. Grandi canzoni, caldo contatto con il pubblico, ma la dimensione professionale è ancora di là da venire”.

Infatti, prima di approdare alla dimensione dei palasport, quando ancora la quotidianità significava viuzze e piazze di Bologna, Guccini suonava in bar, osterie, circoli privati, carceri, fabbriche, palestre, teatrini. Praticamente senza mai pubblicizzarsi o senza mai annunciare l’evento. Per chi c’era nei primi anni ’70 andava molto l’Osteria delle Dame a Bologna, vicino al torresotto di porta Castiglione: talvolta un posterino fuori dalla porta, altre volte un piffero di niente, il concerto come improvvisazione, molto più blues e folk che mai. Con lui, l’amica americana Deborah Kooperman e Giorgio Massini. Poi si diceva del 1983, ovvero dell’inaugurazione di una personalissima forma concerto. Pubblicizzazione dell’evento con il classico poster/copertina di Via Paolo Fabbri 43, Guccini coinvolge un numero più esteso di spettatore in spazi più capienti. E invece di allontanarsi dal pubblico, di arroccarsi sul palco modello reuccio della canzone, si posizione a livello platea, dialoga con essa, gli racconta storielle, depotenzia il ruolo della rockstar, ribalta il sacrale misticismo del live.

Ma sono talmente tante le cose da raccontare quando si parla di Guccini, come affermano Sassi e Semellini, che il loro libro va ben oltre la performance dal vivo del cantautore modenese e diventa il quadro simbolico dell’evoluzione della figura del cantautore italiano tout court. Sovrabbondante di storiche testimonianze (tra gli altri Caterina Caselli e Claudio Lolli; i fidati musicisti Juan Carlos Flaco Biondini, Ellade Bandini, Ares Tavolazzi), suddiviso in otto capitoli dal 1957 al 2010, perfino con una descrizione minuto dopo minuto di alcuni storici concerti e di un elenco pressoché esaustivo di ogni tappa, Francesco Guccini in concerto ci porta alla radice di scelte professionali e di qualcosa di davvero unico nel panorama del concerto dal vivo italiano: il legame diretto di Guccini col suo pubblico.

Un contatto strettissimo e continuamente ripetuto, dovuto anche alla dimensione media del numero dei partecipanti. Una cifra tra i cinque e diecimila (sempre sold out), senza sfiorare la distanziante parata da stadio dei 30mila, 50mila, 70mila alla Vasco o Ligabue. Una questione di rispetto del fan, di vicinanza riservata e burbera, ma sempre necessaria. Nonostante le famose pause di luglio e agosto, quando Guccini si ritira, e non c’è storia, a Pavana. Perché stare lì in mezzo al pubblico, non ve lo dirà mai il neosposo, ma gli fa tanto piacere.

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