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Benetton, i mille colori dell’oppressione

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Il tribunale di un’oscura cittadina della Patagonia argentina ha ingiunto alla comunità Mapuche-Tehuelche di sgombrare i 534 ettari di terra su cui si era insediata, di proprietà della società “Tierras del Sur Argentino SA” del gruppo Benetton. Tale pronuncia appare in chiaro contrasto con varie fonti di diritto sia nazionale che internazionale.

Quanto alle prime, ricordiamo che la Costituzione argentina prevede, all’art. 75, para. 17, che siano riconosciuti i diritti degli indigeni al possesso e alla proprietà delle terre occupate tradizionalmente. Tali diritti sono confermati dall’art. 34 della Costituzione provinciale del Chubut, dove si trovavano gli occupanti, il quale aggiunge che si tratta di terre inalienabili, intrasmissibili e insuscettibili di oneri. Quanto alle seconde, è opportuno citare gli artt. da 13 a 19 della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 del 1989, sottoscritta anche dall’Argentina. Essi stabiliscono il diritto dei popoli indigeni alle terre che essi occupano.

In particolare, ai sensi dell’art. 14, para. 1, della Convenzione appena citata: “I diritti di proprietà e di possesso sulle terre che questi popoli abitano tradizionalmente devono essere loro riconosciuti”, mentre ai sensi dell’art. 15, para. 1: “Devono essere salvaguardati in nodo speciale i diritti dei popoli interessati alle risorse naturali delle loro terre. Questi diritti comprendono, per questi popoli, la partecipazione all’utilizzo, alla gestione ed alla conservazione di queste risorse”.

Le accennate fonti di diritto non paiono essere state adeguatamente considerate dalla pronuncia di sgombero. E’ un fatto oltremodo grave, se è vero che l’ordinamento giuridico, a livello sia internazionale che nazionale appare tendenzialmente sempre più orientato alla garanzia dei diritti degli indigeni, come riportato anche nel libro I diritti dei popoli indigeni che ho personalmente curato.

Non si tratta solo di giustizia, ma anche dell’interesse a uno sfruttamento ambientalmente più sano delle terre e alla loro finalizzazione alla realizzazione della sovranità alimentare delle popolazioni che li abitano. In questo senso, il tema è di portata davvero vastissima e riguarda non solo le decine di milioni di indigeni, ma anche i miliardi di contadini costretti alla miseria e all’urbanesimo dalla gestione del latifondo a profitto delle multinazionali di ogni provenienza.

E l’Italia, terra d’origine della multinazionale in questione, non dice niente? Evidentemente no, ci mancherebbe, un governo che vorrebbe smantellare i pur timidi limiti che l’art. 41 della Costituzione appone alla libertà d’impresa si guarda bene dal disturbare uno dei maggiori esponenti del potere economico nazionale…

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