Ci sono delle sere. Ci sono delle sere come delle mattine che cucinerei piccantissimo! Non perché di solito non ecceda in piccante ma semplicemente per il desiderio di un urlo, il mio, che si trasformi in qualcosa di tangibile per e negli altri. Niente ti sciocca-mente ustionante come il piccolo Caienna dozzinale, coltivato non si sa come e non si sa dove. Evitando il “di modissima” habanero, risaltando nuovamente le buche più dure di un conformismo all’arrovescia. Mi rivolgerei ad anziani amici calabresi (che se non ne avete sarà per voi cosa giudiziosa farvene) che come mi dicono loro stessi “mai sprovvisti di diavolicchio”. Sì, quello lungo, sottile, ricurvo come un dito di Belzebù. Sì Belzebù, quello che si limitava a organizzarci l’Inferno, quello su cui si rideva e si scherzava in numerosissime storielle. Quello che se italiano veniva preferito a quello tedesco perché nel nostro mancava o il martello, o il cucchiaio, o la merda. Non quello odierno che non sai più che lingua parla, con quel suo vocabolario grigio ed urlante, ben protetto da linguaggi usati e logorati, da modelli ascoltati e riascoltati, fino a non essere più ascoltati perché inascoltabili. Con le nostre teste che si rifiutano e si rifugiano in una fuga nel deserto delle nostre anime spaventate. Basta, è lì che spezzetto del piccante, che macino del seme, che polverizzo i miei umori. È lì che cerco le mie e le vostre reazioni.

Antipasto, noci e pecorino, spicchio di aglio tritato, olio e un non niente di prezzemolo, con un non-nulla di origano, un cucchiaino di aceto e un cucchiaio di vino bianco e tanto, tanto peperoncino. Minestra d’acqua con un mazzettino di cavolo nero sfilato e tritato con un mezzo bicchiere d’olio, aglio tritato e zoccoletti di pane fritto con una grattugiata di provolone piccante stagionato e un mezzo cucchiaino cadauno di peperoncino macinato. Una liberante salsa livornese con aglio tritato e dorato fermato da pomodori ben tirati dove ripasserete rondelle di patate lessate e infarinate e poi fritte in un burro di qualità servendo il tutto con fette di pane abbrustolito e sporcato con olio fresco, montato con burro e abbondantissimo pepe nero e peperoncino. Finirete questo pranzo o cena con una dolce e piccantissima mostarda di frutta alternata all’avanzo del provolone piccante. A compensare le vostre necessarie lacrime, bevete senza redenzione alcuna ciò che i monaci hanno colto mentre gli acini sgorgano lacrime di zucchero, buona salute a tutti e buon Lacryma Christi.

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