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Non è vero che tutto il mondo è paese

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Ore 13 di un qualsiasi mercoledì. O quasi. New York è stata sepolta, o quasi, da una delle più cospicue nevicate degli ultimi decenni e i segni sono ancora visibili ovunque. Si lamentano ritardi nella pulizia delle strade e il sindaco Bloomberg si presenta in televisione e si prende la colpa, anche quella che non gli appartiene. Lo ascolto e penso a Napoli, sepolta da altro: sacchetti di spazzatura maleodorante dove i bambini non possono divertirsi e che, data la solita insania dei botti di Capodanno, rischiano di trasformarsi in pericolosissimi falò.

Alla fermata dell’autobus c’è la solita fila, complicata dalle pozzanghere ghiacciate che la neve sciolta comincia a creare un po’ ovunque; pazientemente, uno dietro l’altro, con i piedi nell’acqua gelata, si aspetta il proprio turno per salire. A New York si sale uno per volta per dare modo al conducente di controllare la vidimazione del biglietto o dell’abbonamento. Anche se non lo sai, lo capisci facilmente perché sono tutti lì in fila indiana senza spingere né affrettarsi. Non lo capiscono, però, come spesso accade, due italiani, una coppia che per non “sostare” con i piedi nella pozzanghera, supera con assoluta indifferenza la fila e sale in autobus senza nemmeno accennare a un rossore di vergogna. Quella che, invece, prende me nel sentire qualche breve e pacato commento che sottolinea un gesto maleducato e privo di qualsiasi rispetto.

Nessuno fa riferimento al fatto che i due campioni di civiltà” siano italiani, ma io lo so e questo mi fa rabbia. Non per la fila non rispettata qui. Mi fa rabbia perché so che quel piccolo gesto è frutto di una mentalità e di un modo di vivere in cui il non rispetto delle regole è parte integrante della quotidianità: aggirarle è scelta vincente; rispettarle, una faccenda da perdenti.

Capisco che possa suonare esagerato ma io sono convinta che quindici anni di Berlusconi siano spiegabili con l’incapacità degli italiani a rispettare le file.

Spesso, mi confronto con altre persone che vivono all’estero (non solo negli Stati Uniti) e conveniamo sul fatto che, altrove, si gode di una qualità della vita migliore perché c’è un oggettivo rispetto delle regole che si traduce anche in maggiore senso di responsabilità da parte dei cittadini.

Se rispetti le regole, fra l’altro, e pretendi che tutti le rispettino, dal vicino di casa al presidente del Consiglio, ti puoi aspettare anche di riceverne i benefici.

Il commento che sento più spesso quando discuto di questi argomenti è che “tutto il mondo è paese”. Non c’è nulla di peggio che provare a scrollarsi di dosso le proprie responsabilità, globalizzando la propria diseducazione alla civiltà. E sbagliando, ovviamente.

Pochissimi esempi. Oggi, la MTA, che si occupa dei trasporti cittadini, mi ha mandato un assegno di 30 dollari a rimborso del restante periodo di un abbonamento che si era smagnetizzato; Verizon, operatore telefonico, mi ha inviato un assegno di 17 dollari per un rimborso mai nemmeno richiesto; l’ufficio delle tasse mi ha mandato un assegno per il rimborso delle tasse 2010 (badate bene, dico 2010) dopo due mesi dal pagamento delle suddette. A Manhattan, ma anche in molte zone del Queens, di Brooklyn e del Bronx, si può girare in metro a qualsiasi ora e la soglia del rischio è una delle più basse degli Stati Uniti. Ieri, ho dimenticato il mio iPhone nel camerino di un negozio, mi hanno rincorso per restituirmelo.

Ciò detto, se la neve (che è caduta a valanga) dopo 48 ore non è ancora completamente scomparsa dalle strade, il sindaco si prende la colpa; se un governatore accetta 5 biglietti gratuiti per una partita, come ha fatto Paterson, paga 65mila dollari di multa e se qualcosa non va nel paese il presidente fa una conferenza e dice “ho sbagliato io”.

Se solo in Italia si iniziassero a rispettare le file.

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