Per chi ha a cuore le sorti della democrazia nel mondo, ieri è stata una giornata da incorniciare. In un posto lontano da noi, in un tribunale di Cordoba, 700 chilometri da Buenos Aires, Argentina, Jorge Rafael Videla, 85 anni, dittatore golpista, responsabile diretto di 2300 omicidi politici e della sparizione di 30mila dissidenti o sospettati tali (9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali del Conadep, Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas), ideatore e attuatore della cosiddetta guerra sucia (sporca), ossia un programma di repressione violenta di ribelli e dissidenti caratterizzato dall’uso di torture, sparizioni, assassinii e altre operazioni segrete, è stato condannato all’ergastolo.

Lui, il volto imprigionato dietro un paio di grossi occhiali da vista, i baffi ingrigiti che negli anni Settanta facevano sfoggio virile su quella faccia ossuta e nera, non ha saputo dire di meglio che questo: “È stata una guerra giusta”. In realtà non si tratta della sua prima condanna, Videla era già stato condannato nel 1985, ma cinque anni dopo, l’allora presidente Carlos Menem varò il decreto 2741/90 che concesse l’indulto agli ex membri delle Juntas Militares. Poi nel 2003 le leggi di amnistia per i responsabili della dittatura argentina furono dichiarate nulle e nel 2007 la grazia di Menem fu giudicata anticostituzionale.

Juan Gelman, probabilmente il maggior poeta vivente in lingua spagnola – a cui il regime sequestrò e uccise il figlio Marcelo Ariel e la nuora Maria Claudia Irureta Goyena, a loro volta genitori di una bimba nata in carcere e della quale si perse ogni traccia fino al 1999, quando fu ritrovata presso una famiglia di Montevideo a cui era stata data in adozione – in una poesia dedicata ai figli dei desaparecidos argentini ha scritto: “A tua madre, povero Angelo, | strapparono le ali | e la fecero volare giù dall’aeroplano, | non le diedero il tempo di stringerti la mano… | Giù, senza ali, verso il fiume argentino | che le fece da bara | per un macabro destino”. Versi che con tutta probabilità non aveva letto Berlusconi, certo non prima del febbraio dell’anno scorso, quando ironizzando sui voli della morte, disse: “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei”.

A Videla non spetterà dunque la sorte di un altro sanguinario dittatore sudamericano, il cileno Pinochet, morto nel 2006 alla veneranda età di 91 anni e che fino all’ultimo, tra benedizioni papali e complicità internazionali, è riuscito ad evitare un processo vero e proprio. Imputato insieme ad altre 29 persone, Videla sconterà la sua pena in un carcere non militare.

Affinché quell’orrore non si ripeta, come disse Julio César Strassera, il coraggioso pubblico ministero che nel 1985 sostenne l’accusa ai generali argentini, “Signori giudici: nunca más”. Mai più!

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