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Bruci la città

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Sabato mattina via del Corso a Roma era affollata da migliaia di persone. Sotto le luminarie, splendenti come stelle, sfilavano frenetiche a caccia dei regali di Natale. Di lì a pochi giorni la stessa scena, solo che al posto delle luminarie ci sono i fuochi appiccati al centro della strada a tingere di trasparenze grigio cenere l’atmosfera lassù, e una generazione di incappucciati pronti a fare la guerra contro tutto. È la stessa città, la stessa epoca, lo stesso mondo, una nazione intera abbandonata sui divani di casa come un vestito sgualcito e senza un corpo dentro che si gode in diretta lo spettacolo della rivolta, dopo aver seguito in mattinata con trepidazione le sedute alle due Camere del Parlamento ormai ridotte a squallidi mercati delle pulci.

C’è qualcosa di stonato in tutto questo, una schizofrenia collettiva. C’è un paese che continua a subaffittare la vita alle generazioni più giovani, c’è un settantaquattrenne al potere che sa perfettamente che tutto ha un prezzo, e se hai i soldi per comprarlo (e lui ce li ha) niente ti è precluso. Poi c’è una classe politica che ha perso il controllo sul presente, che ha abolito per decreto il sentimento della vergogna e generato una società fatta di principi e di mendicanti.

L’Italia, è bene dirlo, è entrata in una pericolosa rotta di collisione. La cosa più leggera che si leggeva ieri pomeriggio sui social network è “dài coi tafferugli, che tra trent’anni sarete assessori al comune di Roma”. È l’abbreviazione perfetta di un sentimento di sfiducia che non si appella più neppure ai venti di rivolta, un tutti contro tutti che non ha niente a che fare con gli anni Settanta, come pure è stato evocato da più parti. Il vero nichilismo in cui è scivolato questo paese non appartiene a quei folli armati di mazze e caschi che ieri hanno messo a ferro e fuoco la capitale, non è neppure dei vari Razzi e Scilipoti (che rappresentano più che altro la negazione di se stessi, piuttosto che del senso generale dell’essere), il vero nichilismo appartiene a quello strato profondo della società italiana che ormai si dichiara apertamente fuori dai giochi, che ha accettato la disgregazione politica e morale, la debilitazione della volontà popolare, ed è ormai giunta alla perdita del fine ultimo della propria esistenza all’interno della società umana.

Non sappiamo quanta pista abbiamo a disposizione in questa specie di atterraggio d’emergenza, i mercati europei ce lo diranno presto, certo non è rassicurante starsene seduti ai propri posti con le cinture allacciate mentre l’aereo si schianta al suolo e il pilota, invece di pilotare, si volta e tocca le cosce alle hostess. E magari qualcuno intanto stornella quella canzone di qualche anno fa: “Bruci la città / e crolli il grattacielo / rimani tu da solo / nudo sul mio letto”.

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