Novembre 2010. Il Bunga Bunga e Mubarak. Vanghe.

Qui ricomincio la storia
in decime di ottonari
Di uomini straordinari.
Acciocché la poca gloria
che lasciano alla memoria
ce li renda comprensibili
per quanto ci sia possibile.
(Come vi ho già raccontato,
tutti sono equipaggiati
con una vanga invisibile.)

Novembre, giorno dei morti.
Non a caso, molte vanghe
risuonano, spalando fango
sul satrapo malaccorto.
Bugie con il naso corto,
e minorenni a Milano
seminude sul divano,
che ad uso di certi idioti
diventavano nipoti
del Presidente Egiziano.

(Il Presidente Egiziano,
è inutile che si aggiunga,
ignorava il bunga bunga
del marchettone italiano.
Severamente lontano,
l’erede del Faraone,
immobile testimone
inteccherito nell’amido,
guatava dalla piramide
costruita dal Marziano.)

Tutti, più o meno berciando,
fan corona al milionario
Con vanghe di forme varie,
meditando il come e il quando.
Cupamente gorgogliando
guida la verde coorte
l’uomo dalla bocca storta
(Pare un luccio che rammenta
Che un giorno per un momento
Lo prese all’amo la morte).

Intanto l’opposizione
Moltiplica l’identità
come un corpo, un’entità
in decomposizione.
È una proliferazione
di anime, di fermenti,
di memorie, di ingredienti,
di grumi, di incrostazioni.
Vendola, Renzi, Veltroni.
Le accuse, i risentimenti.

E Bossi porta la vanga,
Sacconi ha una vanga nuova,
E Bondi che si commuove
Anche lui con la sua vanga.
E Letta porta la vanga.
Porta la vanga Maroni
E il ferito Capezzone
una vanga dolorosa.
Non è in discussione il cosa,
Ma semplicemente il come.

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