Elezioni a primavera o non elezioni a primavera? Questo non è il problema. Nonostante venga da chiedersi se è davvero possibile, prima o poi arriverà l’era post-Berlusconi. E sarebbe anche ora. Ma la domanda è: e poi? Che cosa ci aspetta dopo la fine, si spera, del regime mediatico in cui stiamo vivendo? Che cosa comporterà il tramonto dell’attuale classe politica, il crollo su se stesso del sistema Pdl-Pd che, senza troppe remore, ha partorito e promosso, in modo rigorosamente bipartisan, le peggiori nefandezze che un sistema democratico sia disposto ad accettare?

Al di là dei risultati elettorali, se o quando si tornerà per l’ennesima volta a votare (anche se viene da chiedersi chi, visto che non possiamo eleggere direttamente le persone che vogliamo ci rappresentino in Parlamento), saremo pronti, come italiani, a re-inventare un Paese degno di essere ancora chiamato libero, democratico e soprattutto civile? Riusciremo anche dopo la seconda repubblica a non far più dell’Italia un far west in cui ognuno pensa solo per sé? Il dubbio è più che lecito, se si guardano i dati sull’evasione fiscale, o se si pensa a cosa ci ha portati il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Possiamo quindi anche solo pensare che la casta, la cricca, o comunque la si voglia chiamare, non sarà pronta a rinascere dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice?

La mentalità di un popolo non può cambiare dall’oggi al domani, purtroppo. E come anche il fenomeno Obama non ha portato gli americani a “negoziare i loro stili di vita”, così l’eventuale crollo del duopolio Pdl-Pd non basterà a risanare l’Italia da debiti che, ormai da un secolo e mezzo e non solo a livello finanziario, ha contratto innanzi tutto con se stessa. Certo una nuova classe politica virtuosa potrebbe fare molto per indirizzare uno Stato in modo da renderlo più onesto, più cosciente, più civile, appunto; può aiutare la popolazione a sviluppare un minimo di senso civico; può investire sull’istruzione e sulla ricerca, piuttosto che spendere soldi pubblici nell’organizzazione di concorsi per aspiranti veline.

Ma agli italiani, o meglio, alla maggioranza degli italiani, tutto questo piacerà? Saremo pronti a non aspettarci sempre e comunque che qualcun altro si possa occupare degli affari pubblici? Saremo ancora in grado, a livello nazionale, di capire tutto ciò che vada al di sotto della superficie, vedendo come siamo stati abituati in questi ultimi decenni? E soprattutto, saremo pronti a non badare più soltanto agli affaracci nostri, magari togliendoci di dosso la cappa di Paese provinciale e maleducato che siamo, valorizzando quelle caratteristiche tipiche del territorio e del tessuto sociale italiano che invece abbiamo imprudentemente abbandonato?

Ci vuole un nuovo tipo di nazionalismo, ora, non quello becero che vieta di paragonarci a Spagna o Grecia, che ci fa pagare due milioni di euro al giorno per Alitalia, bruciare allo stadio bandiere di altre nazioni o sfogare le nostre ansie e frustrazioni nella xenofobia più ottusa. Non serve fare carte false per restare nel club dei “Grandi della Terra”, se poi siamo un Paese palesemente vecchio, triste, sfiduciato, e, alla fine, per niente ricco. E ciò che dovremmo aiutare a crescere non sono il Pil ed i consumi, ma la nostra qualità di vita. Semplicemente tornando ad essere noi stessi, scrostandoci di dosso la “falsa coscienza” che ci è stata inculcata da trent’anni a questa parte, e liberandoci dai falsi modelli che l’hanno diffusa.

Perché il timore è che alla classica nonchalance con cui in Italia si pensa solo ad ottenere ciò che si vuole a discapito del bene comune, si sia aggiunto l’individualismo estremo, l’arrivismo a tutti i costi e la superficialità del modello berlusconiano, che potrebbe avere intaccato la nostra mentalità ed abituato le nostre coscienze così a fondo da richiedere ben più di un cambio di classe dirigente. Che, in ogni caso, è il primo passo da compiere, ed al momento il più auspicabile, affinché l’arresto della metastasi dei conflitti di interesse che incancreniscono questo Paese possa finalmente iniziare.

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