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Il prefetto Morcone: “Più uomini all’agenzia per i beni confiscati alla mafia”

La Corte dei Conti sottolinea le difficoltà nell'assegnazione dei beni confiscati al crimine, ma l'Agenzia che se ne occupa ha solo 30 uomini a disposizione
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“Non possiamo risolvere tutto noi con trenta persone a disposizione”. Lo afferma il prefetto Mario Morcone, a capo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, all’indomani delle raccomandazioni della della Corte dei Conti nell’indagine di controllo: l’Agenzia, scrivono i giudici contabili, “potrà ancor meglio conseguire gli obiettivi prefissati non solo con l’incremento del personale assegnato, ma anche con l’adozione di procedure semplificate per facilitare l’attribuzione di finanziamenti agli assegnatari dei beni confiscati, onde evitarne il deterioramento”.

Istituita nel 2010 e attiva dal maggio scorso, l’agenzia conta sul lavoro di trenta persone suddivise tra la sede di Roma e di Reggio Calabria. “Abbiamo bisogno di essere più presenti sul territorio”, afferma il prefetto, “ ci vogliono più risorse, soprattutto più uomini”.

L’ideale- spiegano dall’agenzia – sarebbe l’apertura di sedi nella altre regioni in cui agisce la criminalità organizzata investendo le proprie ricchezze, regioni come la Sicilia, la Campania e la Puglia, ma anche la Lombardia, prima regione del Nord, nella top five per sequestri. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha già promesso l’apertura di uffici a Palermo e Napoli. “Aspettiamo che il prossimo consiglio dei ministri approvi una norma che ci dia più forza”. Nel frattempo bisogna operare in altri modi: “Finora abbiamo contato sul supporto delle prefetture, ma hanno molte cose da fare. Noi vorremmo avere un contatto più costante e diretto coi magistrati per agire subito dal sequestro con loro, fino a occuparci dell’assegnazione dopo la confisca”.

Gli impiegati dell’agenzia restano trenta, e così sarà così almeno per un po’ di tempo perché “ogni altro aumento organico dev’essere fatto in forma legislativa”, spiega un impiegato. In questa situazione lui e i suoi colleghi sono costretti a coprire tutta l’Italia: “Siamo divisi equamente tra la sede di Roma e quella di Reggio Calabria, ma alcuni devono fare il jolly”, racconta. “Io sono di stanza a Roma, ma oggi sono a Reggio e domani dovrò andare a Caserta per fare un sopralluogo dei beni confiscati ai Casalesi”.

La loro richiesta è supportata dall’associazione Libera: “È necessario che venga rafforzata con più personale e più sedi, così che divenga più efficace”, afferma Davide Pati, responsabile del settore beni confiscati dell’associazione di don Luigi Ciotti.

Secondo la Corte, tra 2008 e 2009 il 52,6% dei beni sequestrati alla criminalità era inutilizzato per la lentezza delle procedure di assegnazione. “È un dato già superato. In questi mesi arriviamo abbiamo assegnato quasi il 70% dei beni confiscati”, afferma Morcone. Ma si può fare sempre di più per velocizzare le pratiche.

I giudici contabili hanno sottolineato la necessità di procedure semplici per facilitare l’attribuzione dei beni confiscati, per evitare che si deteriorino e perdano valore. In media – rileva l’indagine – servono dai 7 ai 10 anni solo per ottenere la confisca definitiva e poi all’uso dello stesso.

La lentezza, spiegano dall’Agenzia, è dovuta ai ricorsi fatti da chi subisce il sequestro, che ritardano la confisca definitiva, ma anche alle occupazioni abusive, ai mutui o alle ipoteche che pendono sugli immobili. Per le aziende il discorso è diverso: “Hanno un percorso diverso dagli immobili perché la priorità è mantenere i livelli occupazionali e non sempre è possibile perché queste imprese provengono da mondi che hanno poco a che fare con la legalità”. Bisogna procedere allora con la regolarizzazione dei lavoratori, perché “non può essere ammesso il lavoro in nero dallo Stato”, osserva l’impiegato dell’azienda.

Alla fine, quando finalmente sono stati confiscati e sono liberi da lacci, i beni vengono destinati secondo le manifestazioni di interesse agli enti territoriale e, tramite loro, alle associazioni, o alle forze dell’ordine. Il lavoro dell’agenzia però non sarebbe finito: è necessario effettuare un monitoraggio dell’uso reale dei beni.

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