Adesso si può dire, il vecchio Bobo Maroni (ma poi a Varese lo chiameranno Marun come i Maroon 5, in onore della sua verve musicale?) aveva ragione. Sì, perché diciamolo, quei quattro lazzaroni, per usare un linguaggio consono al sentire della base leghista, che hanno devastato Genova e che ne avrebbero potuto fare un bivacco per i loro manipoli, se solo lo avessero voluto, quei quattro bifolchi insomma hanno potuto fare quel che hanno fatto ovviamente sol perché nell’incivile Serbia ancora non hanno adottato la privilege card (che poi non si capisce come si possa evitare di conferire un gadget tanto fico ad un personaggio glamour come l’Ivan).

E infatti: mentre i sospetti tifosi italiani venivano fatti passare sotto le forche caudine di tornelli che i Sanniti se li sognavano (come, siamo certi se lo sognino i valorosi che han vinto l’appaltino), non senza essere stati sottoposti a perquisizioni degne del JFK il 12 settembre 2001, I tifosi (sic)Serbi al contrario nel frattempo venivano lasciati liberamente entrare e pascolare allo stato brado per la curva di Marassi…e ti credo, aggiungo io, provateci voi a fermarli.

La domanda, direbbe qualcuno, sorge spontanea: che sarebbe cambiato se putacaso quei tifosi, per altro in buona parte plurischedati, fossero stati in possesso della tessera del tifoso? Risposta tanto ovvia, quanto non scontata dalle parti del Viminale: niente. La questione è solo una, la tessera del tifoso è solo l’ennesima pensata per allontanare il tifoso medio dallo stadio – progetto che i numeri attestano perfettamente riuscito – a tutto beneficio del progetto “homo televisivo globale”.

Ma non solo, forse.

Al netto dell’ironia i fatti dell’altro giorno dimostrano, casomai ce ne fosse bisogno, come le logiche sottese alle azioni ultrà non possono essere prevenute da nessuna tessera, figuriamoci quindi se possano esserne contenute. Come detto la truppa d’assalto di Marassi era abbondantemente conosciuta dalle polizie d’Europa: a cosa sia valso, nella generale disorganizzazione delle due polizie di riferimento, è sotto gli occhi di tutti.

E dunque rimane da interrogarsi sui perché sottesi all’introduzione della tessera, una battaglia che pure il Viminale ha ritenuto di dover combattere con grandi esibizioni muscolari, non senza aver in precedenza scaldato i motori con altre schedature, come quella ben più funesta tentata ai danni di Rom, Sinti e Camminanti. Il progetto che emerge in controluce, forse non consapevole, ma certo in perfetta linea con lo zeitgeist del momento attiene prettamente alla nuova dimensione biopolitica che va connotando il modo di agire di poteri vecchi e nuovi.

In quest’ottica si capisce come qualunque dimensione socializzante debba essere ricondotta entro l’alveo rassicurante della socialità televisiva, o, diversamente, sottoposta a schedatura, la qual cosa non mancherebbe di ottenere benefici effetti anche per il Dio mercato.

La circostanza che a battersi contro la tessera siano state in prevalenza le tifoserie organizzate ha finito con l’offuscare le loro buone ragioni. Chi, del resto, sarebbe disposto a dar credito al buon tifoso Ivan?

Questo non toglie che oggi la tessera del tifoso, pur nella sua apparente irrilevanza, rappresenti un dispositivo in grado di esemplificare in maniera semplice ed illuminante modi e prospettive del progetto totalitario in atto: del resto, come dicevano i nostri nonni, spesso il diavolo si nasconde nei dettagli.

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