Sergio Marchionne è negli Stati Uniti, in Ohio a ricevere le “congratulazioni” del vicepresidente Usa Joe Biden per l’operato in Chrysler, quando gli arriva la notizia che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è schierato a sostegno dei lavoratori di Melfi. Il Capo dello Stato, infatti, accoglie l’appello che gli hanno rivolto i tre operai licenziati e poi reintegrati dal giudice ma non fatti rientrare al loro posto di lavoro due giorni fa. Con un tono di una durezza inaspettata, Napolitano certifica l’isolamento della Fiat in questa vicenda.
“Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli – scrive il capo dello Stato – ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla Fiat Sata di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi”. E ancora: “Anche per quest’ultimo sviluppo della vicenda – ricorda il capo dello Stato – è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l’Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch’io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate. Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità percepire la retribuzione senza lavorare”. Il “vivissimo auspicio” del Quirinale è che “questo grave episodio possa essere superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell’attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale”.
Quello che più colpisce nella lettera di Napolitano è la “comprensione” di come sia considerato “lesivo” percepire la retribuzione senza lavorare. La Fiom, alla quale i tre operai sono iscritti, centra la sua protesta proprio sul rispetto della dignità dei lavoratori, un modo per cercare di parare i colpi che l’azione della Fiat sta cercando di portare proprio al sindacato guidato da Maurizio Landini.
I tre operai, Barozzino, Lamorte e Pignatelli avevano scritto al Quirinale di propria iniziativa, senza l’intermediazione della Cgil. Ma c’erano stati contatti informali già da lunedì, spiegano in Fiom, che lasciavano intendere la contrarietà del Quirinale per le mosse della Fiat. Da qui il messaggio dei lavoratori: “In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico”.
Il ping pong su Melfi ributta ora la palla nelle mani del Lingotto. I tre lavoratori non reintegrati, e con loro la Fiom, decidono infatti di attenersi alle leggi e, anzi, ne chiedono il rispetto. Ieri Barozzino, Lamorte e Pignatelli hanno annunciato che non cercheranno di entrare in fabbrica anche se si presenteranno tutti i giorni davanti ai cancelli. Ma attenderanno gli sviluppi legali della loro situazione.
Cosa farà la Fiat, invece, ancora non si sa. Mentre dagli Usa, oltre ai ringraziamenti, arrivano notizie di preoccupazione da parte dei concessionari per il lancio della nuova 500, in un’intervista informale resa ieri al Corriere della Sera Marchionne ribadisce la strategia della “tolleranza zero”: “Se faccio finta di niente una volta – sono le parole attribuite al numero uno della Fiat – poi non gestisco più niente”. Ma a sostegno dell’azienda torinese sembra schierato solo il Sole 24 Ore – anche se è evidente il silenzio del leader di Confindustria Emma Marcegaglia – che ieri, in un editoriale non firmato ricordava che se la Fiat decide di non investire nel nostro Paese “l’Italia perderà ulteriore ranking nelle scelte degli investitori”.

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