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La rete senza centro e la censura

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Obbligo di rettifica per i blog: che fare? Se davvero la norma passasse, ci ritroveremmo in una situazione difficilmente immaginabile. Tempo fa descrissi internet, ragionando di postmodernità, come una rete senza centro, una pluralità strutturata per l’appunto nella forma di un sistema di rimandi senza centro, e proprio per questo in grado di assicurare la libertà. Parlavo della rete come il contrario dell’impero: una pluralizzazione dei poteri, che associava alla consapevolezza del carattere illusorio del nostro desiderio di privacy la possibilità di controllare noi stessi i tanti centri di potere. Inutile resistere in difesa della privatezza, che i centri sono in grado di violare quando vogliono: tanto vale dar vita a un mondo nel quale anche i potenti, e non solo i deboli e i singoli cittadini stessi, siano controllabili. Come noto, il ddl sulle intercettazioni prevede che i bloggers debbano pubblicare rettifiche, laddove siano state richieste, entro quarantotto ore dalla richiesta stessa. Chi non si adegua rischia una multa fino a 12500 euro. Bavaglio o ulteriore affermazione della rete senza centro? Bavaglio, purtroppo: la rete senza centro prevede la libertà di criticare, non l’obbligo di pentirsi. Prevede che chiunque ritenga di essere stato attaccato ingiustamente possa difendersi utilizzando la rete stessa, e cioè scrivendo a sua volta in difesa della sua persona, su un canale internettiano che potrà al limite essere lo stesso dell’accusatore, ma per libera volontà delle parti in gioco. La norma sui blog non esprime una logica di pluralizzazione dei poteri, in difesa dei presunti deboli, quanto piuttosto il suo contrario – e non è un caso che la norma stessa sia, di per sé, un atto di regolamentazione deciso dal potere centrale (un parlamento eletto democraticamente, certo; ma sappiamo quanti limiti siano stati posti a quel “democraticamente”: conflitto d’interessi, una legge elettorale che priva della libertà di scegliere i propri rappresentanti, ecc.).

Dunque, che fare? Prendere meno sul serio la norma, contando sulle infinite possibilità di internet? In fondo, anche la Cina riesce a far poco per censurare la rete. Oppure, costringerci a immaginare davvero la rete (quella senza centro) come uno strumento di libertà, e trarne le dovute conseguenze. Ribadire la democrazia – quella sostanziale, non quella formale – utilizzando la rete stessa. Immaginare forme di resistenza – qui i bloggers, che sono certo più competenti di me in materia (vero che anch’io tengo due blog…), devono impegnarsi a fondo – che rivelino il carattere creativo della rete stessa. Ho notato la proposta, giunta proprio qui sul Fatto Quotidiano, di scrivere articoli utilizzando file di immagini, che sfuggirebbero così alla rete (quella con un centro) tesa da coloro che, immaginiamo, scandaglieranno domani i fondali di internet per cercare notizie da censurare. Istituire (ma ci vogliono benefattori…) una “cassa di solidarietà” per finanziare le multe che dovessero arrivare a chi è finito nella rete con un centro? Usare le stesse armi in funzione ostruzionistica, pur correndo il rischio di darla vinta ai censori? Utilizzare un codice cifrato? O ancora, istituire una “due giorni” di notizie anti-bavaglio, impegnandoci tutti in una sorta di monitoraggio a tempo che impedisca quantomeno al centro di coglierci alla sprovvista? O magari innescare una spirale senza fine, pubblicando ulteriori commenti sulle rettifiche insieme alle rettifiche stesse, in attesa di una nuova richiesta? Prima o poi si stancheranno… e di fatto, non violeremmo lo spirito della legge, che istituisce un vero atto di tortura, costringendo i bloggers a non dormire per 48 ore.

E così via. L’unico effetto positivo di questo decreto è che in fondo potrebbe contribuire a edificare davvero, sia pure come forma di resistenza alla censura, quella “comunità virtuale” insita nella rete senza centro (ne parlano Aime e Cossetta in un recente saggio pubblicato da Einaudi) dalle potenzialità ancora sconosciute. Chissà che il centro non riesca, contro il suo stesso volere, a partorire una rete pronta davvero a ribellarsi.

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