Aclisti, comunisti, interisti-leninisti, piddini, fan di Belushi, e anche l’Udc: da secoli l’opposizione non si ritrovava unita.

Tre amiche, Grazia, Mariella e Patrizia, sono venute insieme, dalla Toscana. Tutte e tre con una cerniera da lampo rossa stretta davanti alla bocca. E raccontano: “Ci siamo chieste: ma noi, come ci sentiamo oggi? Ci siamo risposte: imbavagliate. Bene, eccoci qua”. E’ la prima foto che ho scattato, con il telefonino, e la trovate qui al lato. Due ragazzi di Roma, invece, si sono appesi dei cartelli al collo: “Utilizzatore finale” lui, “letteronza” lei. Ridono: “Abbiamo voluto rispettare la divisione dei ruoli della nuova Italia…”. Cristina, da Vasto, si è disegnata un cartello: “Tutti, tutti/ Siamo tutti farabutti”, e lei – invece – non ride affatto: “Lo vorrei dare in testa a chi so io…”.. C’era molto bricolage, molta fantasia, ieri in piazza (e, scusate l’orgoglio, moltissime copie de Il Fatto).

Leader marcati a uomo.
Ci sono tanti modi in cui puoi raccontare una manifestazione, ma c’è sempre un segno, un ricordo nitido che ti resta impresso nel taccuino e nella memoria. Di questa piazza, tutti quelli che ci sono stati ricorderanno che non se ne usciva più. Tutti pigiati come sardine, tutti incastonati in piazza del Popolo, sudori, cappellini, striscioni bandiere, e persino palloncini: quelli dell’Arci, quelli della Cgil, quelli de l’Unità…. E poi i gazebo, le bandiere, gli “interisti leninisti” (giuro, esistono davvero, con tanto di gagliardetto), le bandiere delle Acli, Sinistra e libertà, i Blues Brothers (con un vaffa anti-Cavaliere attribuito a Belushi) il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando, i sindacalisti della Cisl (che temerariamente sono venuti anche se il loro sindacato non ha aderito), tantissime bandiere dell’Udc, del Pdci, di Rifondazione, e anche la falce e martello nel quadrato di Marco Rizzo. C’erano proprio tutti, e tutte le vie di uscita erano intasate: un muro umano sbarra via del Corso, un vortice turbina in direzione piazzale Flaminio e verso il fiume i vigili hanno dovuto transennare perché la marea umana straripava sul Lungotevere. Cose mai viste, così come i muraglioni stipati di arrampicatori temerari, che hanno rischiato pur di avere un posto con vista sul palco. “Rob-berto! Rob-berto!”, boato assordante quando Andrea Vianello fa capire che Roberto Saviano sta per materializzarsi sul palco. Gaia, di quattro anni, sulle spalle della madre. Prima manifestazione? “Ma che dice? E’ in piazza contro Berlusconi da quando è nata!”.

“In parlamento votate”.
Quando Pierluigi Bersani la attraversa, questa muraglia umana incandescente, si becca anche qualche tirata d’orecchie: “Andate a votare in Parlamento!”. Sull’altro lato, pochi minuti dopo, Dario Franceschini (che malgrado l’apripista della vigilanza non riesce ad uscire) esclama costernato: “Hai capito? Siamo finiti in mezzo ai precari della scuola!” (Già, perché c’erano pure loro: hanno finito il loro corteo e sono venuti ad aggiungersi, con le loro bandiere viola). Walter Veltroni fa capire di sentirsi anche lui arrabbiato: “Molta gente qui pensa che le assenze in aula siano state gravi? Bene, anche io sono tra loro”.

“Indignati con i nostri”.
Ma quanti sono in tutto? Centomila, o trecentomila, poco importa: l’unica cosa certa è che erano stipati come sardine, non accadeva da secoli. La seconda cosa che non si scorda facilmente è questo strano stato d’animo che attraversa il corteo : un po’ scanzonato, un po’ furibondo. Come un ruggito sotto la pelle, una tensione comune. Chiedo a due signori anziani molto teneri (i capelli bianchi, entrambi con il bastone, i giornali sotto braccio) che si tengono per mano, in bilico sul cornicione. Come vi sentite? E i due – Paola ex insegnante, e Mauro, ex dirigente d’azienda – all’unisono rispondono: “Noi siamo incazzatissimi, grazie”. Sorridono, però. Aldo e Donatella, dalle Marche, quasi mi placcano: “Scusa, sei de Il Fatto, no? Scrivilo che siamo indignati con il partito che votiamo! Scrivilo che li vorremmo votare ancora, ma che devono finirla con le loro beghe congressuali!”.Massimo D’Alema arriva senza cravatta. Ironico, affilato, molto poco inciucista: “Io credo che questa gente sia qui per dire qualcosa di chiaro. Non deve essere il governo a decidere chi sono gli ospiti dei talk show. Sono qui perché lo spazio della libertà in Italia si va restringendo sempre di più”. Poi anche lui parla della questione dei parlamentari del Pd “assenti” in Aula: “Mi spiace, ma dire che con venti deputati in più avremmo vinto è una falsità. Abbiamo perso, capita che anche in Parlamento si finisca per avere cento voti in meno…”. Però aggiunge: “Sicuramente si pone un problema di conduzione del gruppo, questo sì”. Vuol dire che va cambiato il capogruppo? Occhi spalancati: “Ecco, scrivete: questo lo ha detto un giornalista. Io ho detto un’altra cosa”.

Abbracci a sorpresa
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Anche sotto il palco c’è un po’ di tutto. Pressato come una sardina anche lui, arriva Roberto Saviano. Si infila in una roulotte, poi viene scortato da un plotone di guardie del colpo e di telecamere fin sopra il palco. Sotto, a sentirlo, c’è tutta la famiglia Sandrelli: Stefania, Amanda, e il nipotino. Paolo Ferrero stringe serafico la mano a Nichi Vendola (vuol dire che è proprio una giornata epocale), e D’Alema nega di voler far fuori il presidente della Puglia: “Ma come, sono cinque anni che lo tengo su…”. Sarà una magìa? Sarà che questa piazza riesce ad azzerare le tante guerriglie del centrosinistra? Miracolo. Di sicuro l’occasione serve a mettere da parte le voci di guerra fratricida fra Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris. Il tutto accade molto teatralmente, proprio in piazza, quando il leader dell’Italia dei valori si mette a gridare: “Giiiigggììì! Giiigggììì! Vietti a fare la foto!”. Gigi arriva, Di Pietro lo incravatta con il braccio, si gira verso i fotografi e sorride: “Siamo amici fraterni”. De Magistris aggiunge: “Facciamo opposizione insieme, presto governeremo insieme” . Potrebbe essere un slogan buono per tutti quelli che sono qui. In fondo, a pensarci bene, è la prima volta che, dai tempi dell’Unione (da prima della campagna elettorale che ha diviso il centrosinistra) una grande folla variopinta, si è ritrovata nella stessa piazza. Mille anime, mille colori, tanta voglia di cambiare. Stipati come sardine, sorridenti, ma anche incazzati neri. Eppure, per un giorno, felici di essere tornati insieme.

da Il Fatto Quotidiano n°11 del 4 ottobre 2009

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