Referendum, il costituzionalista Stefano Ceccanti: “Svolta storica, passiamo sopra alle imperfezioni”

Il senatore dem spiega perché votare Sì alla consultazione di novembre. E sul nuovo Senato dice: "È stato scelto il modello del Bundesrat austriaco e non tedesco, che elegge i suoi membri dai Consigli e non dalle giunte"

29 Luglio 2016

Professor Ceccanti, questo Parlamento, gravato dalla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, era l’ultimo che potesse riformare un terzo della Costituzione.
È stato fatto un intervento straordinario di manutenzione della Carta, su due aspetti maturi da decenni: la fiducia data solo dalla Camera e il Senato trasformato in organo di raccordo tra Stato e periferie. Capovolgerei il ragionamento: la legislatura aveva senso solo se si riformava la Costituzione, per evitare nel blocco di sistema che si era verificato con un governo che non si riusciva a formare e le Camere che non potevano essere sciolte dal capo dello Stato in semestre bianco.

Il presidente della Repubblica poi è stato rieletto…
…certo. E ha chiarito che avrebbe accettato la rielezione se il Parlamento avesse fatto la riforma.

Nella Costituzione non sta scritto da nessuna parte che il capo dello Stato dà un mandato al governo!
Non c’è nemmeno scritto il contrario. Nel momento in cui lui ha condizionato la sua rielezione a questo, i partiti hanno accettato l’assunzione di responsabilità.

Che natura abbia il nuovo Senato sfugge ai più. Si dice che rappresenta gli enti territoriali, che non ha rappresentanza politica, ma allora è incomprensibile la scelta di fargli nominare 2 giudici costituzionali e partecipare alle revisioni costituzionali. Senza dire dei 5 senatori nominati dal Colle.
Di quelli ne avrei fatto a meno anch’io. Quanto al resto, il Senato rappresenta i legislatori regionali: non c’è giurista che riesca a scrivere il 117 senza incorrere in sovrapposizioni tra competenze statali e regionali.

Allora perché non mandare in Senato delegati dei governi regionali, come in Germania, modello al quale avete detto di ispirarvi.
È stato scelto il modello del Bundesrat austriaco e non tedesco, che elegge i suoi membri dai Consigli e non dalle giunte: il centro-destra l’aveva messo come condizione, visto che la maggior parte delle Regioni ora sono governate dal centro-sinistra. Scelta necessaria per arrivare a una riforma condivisa.

Condivisa? Il centrodestra non l’ha votata.
La riforma nelle prime letture è stata votata anche dal centrodestra, che ha cambiato opinione dopo l’elezione di Mattarella. I contenuti sono condivisi, i voti no. Il Senato rappresenta i territori, ma non è del tutto avulso da logiche politiche come dimostra l’esperienza tedesca. Per quanto riguarda le funzioni, l’area delle materie che restano paritarie si riferisce sia al rapporto centro-periferia, sia ad alcune caratteristiche di garanzia, come la revisione costituzionale.

Infatti: il Senato dovrebbe essere elettivo.
È un’elezione di secondo grado. Per evitare conflitti tra Stato e Regioni i consiglieri regionali devono sentirsi rappresentati dai loro pari.

Come spiega la contraddizione tra i 2 commi dell’articolo 57? Uno dice che i senatori vengono eletti dai Consigli regionali e l’altro che sono eletti “in conformità alle scelte degli elettori”.
I senatori saranno eletti dai loro pari con un sistema elettorale che cercherà di rendere prevedibile questa scelta. Il presidente Usa è eletto in modo sostanzialmente diretto dai cittadini, ma con un’elezione di secondo grado.

Ma in America sulla scheda il nome del grande elettore è collegato a quello del candidato presidente!
Il meccanismo è comunque doppio, esiste una prevedibilità ma non un automatismo.

Il tavolo delle Regioni non riesce a partorire una proposta e si sta pensando di far valere la norma transitoria sull’elezione del Senato.
La legge elettorale deve farla il Parlamento: si troverà una soluzione. Se dipendesse da me io insisterei sul ritenere il presidente della Regione il primo degli eletti per ciascuna Regione, come nel Bundserat tedesco.

In Germania i delegati degli Stati federali hanno vincolo di mandato: devono votare compatti pena la nullità del loro voto, perché fanno gli interessi del loro Land.
Il presidente della Regione è quello che si assume la responsabilità politica dell’impugnazione delle leggi statali davanti alla Corte. Se il nostro obiettivo è ridurre la conflittualità Stato-Regione, questa è la vera scelta di fondo. Il resto sono tecnicismi.

I “tecnicismi” regolano un principio fondamentale della democrazia, quello della rappresentanza.
A me la cosa che preme è che ci siano i governatori. Per il resto saranno comunque, indipendentemente dal sistema, consiglieri che avranno una predeterminazione di voto popolare e che dovranno rappresentare i loro colleghi.

La natura poco chiara del Senato si evince pure dalla confusione delle materie di sua competenza e dai processi di approvazione delle leggi.
Non sono d’accordo. Quelle indicate dal primo comma dell’articolo 70 sono tipologie e non materie, perché sono molto ben individuate, con richiami puntuali agli articoli della Costituzione.

La riforma è passata a suon di strappi: canguri, cambio dei membri in Commissione, sedute fiume notturne.
Lo dice lei. Sono stato senatore e non mi sono mai posto il tema del voto in dissenso in Commissione: lì ci si siede in rappresentanza del gruppo. Qualcuno ha pensato di poter votare uti singuli e dunque c’è stato un avvicendamento.

Perché la Costituzione è scritta come un manuale per montare mobili? Il tema della chiarezza non è solo estetico, è di sostanza.
Le parti organizzative di tutte le Costituzioni non sono come quelle di principio, che sono molto chiare. E poi: il testo di un bicameralismo perfetto è ovviamente più semplice rispetto a quello di un bicameralismo differenziato.

Tanti sostenitori del Sì dicono “la riforma non è bella ma la votiamo”. Per Cacciari “è una puttanata”.
Dietro c’è quel che Kelsen definiva il paradosso delle riforme: è molto difficile che un sistema si autoriformi. Immagino pensino una cosa del genere: non troveremo mai più un Senato disposto a suicidarsi. Da un Parlamento di 945 eletti passeremmo a 750. È una svolta storica, si può passare sopra alle imperfezioni pensando a migliorie successive.

L’argomento è misero.
Lei non crede che una parte di parlamentari schierata per il No l’abbia fatto perché con la riforma diminuiscono di un terzo le chance di rielezione?

No. Anche i politici non si fanno mancare nulla: dire che si combatte meglio il terrorismo con la riforma…
Ve lo siete inventato.

C’è un video sul sito del Fatto. Comunque anche dare i numeri sui benefici economici – tipo +6% di Pil in 10 anni – senza fornire i modelli econometrici, non è onesto.
Non sono un economista, ma ci sono vari studi. Al di là di cifre e discussioni, se si pensa che la riforma darà stabilità al governo e ridurrà il conflitto Stato-Regioni – che creando incertezza scoraggia gli investimenti – è ovvio che avrà effetti benefici sull’economia.

Il fatto che si ridurranno i conflitti Stato-Regioni è una sua idea. Molti autorevoli costituzionalisti, nonché ex presidenti della Consulta, sostengono il contrario.
Il conflitto Stato-Regioni negli ultimi anni ha occupato il 50% del lavoro della Corte. Io non so dire quanto questo verrà ridotto, è un parametro difficilmente quantificabile. Ma sono convinto che avere i consiglieri regionali in Senato lo ridimensionerà: difficile sostenere che peggiori.

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