L’intervista/1

Mafia capitale, il caso Odevaine: condanna triplicata rispetto alle richieste dell’accusa. “E ho ammesso le tangenti”

Il pm Paolo Ielo aveva chiesto per lui solo 2 anni e sei mesi in continuazione con la pena precedente per gli affari con la Cascina di 2 anni e 8 mesi. Il Tribunale lo ha condannato a sei anni e sei mesi. Quattro anni in più.

21 Luglio 2017

Odevaine all’uscita dall’aula bunker di Rebibbia sembra un pugile che pensava di incontrare un peso piuma ed è stato travolto da un peso massimo. L’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni ai tempi in cui era sindaco e poi componente autorevole del tavolo di coordinamento per l’emergenza immigrati al Ministero dell’Interno, era alla sbarra per i 5 mila euro al mese presi da Salvatore Buzzi negli anni d’oro. Il pm Paolo Ielo aveva chiesto per lui solo 2 anni e sei mesi in continuazione con la pena precedente per gli affari con la Cascina di 2 anni e 8 mesi. Il Tribunale lo ha condannato a sei anni e sei mesi. Quattro anni in più.

Odevaine si aspettava una pena quasi tripla?

No. Penso di essere una vittima della scelta del Tribunale di distaccarsi dall’impostazione della Procura sull’associazione mafiosa. Il Tribunale non ha riconosciuto l’esistenza a Roma dell’associazione mafiosa. Dall’altro lato però, per non sembrare troppo debole rispetto ai pm, secondo me ha calcato la mano sull’altro fronte.

Vuoe dire che lla fine ha pagto lei al posto degli imputati di mafia perché se avessero anche inflitto pene blande per la corruzione sarebbe sembrato troppo?

Dico che la mia condanna è pesantissima rispetto alle richieste e non hanno nemmeno tenuto conto della collaborazione che io ho fornito. Questa durezza è secondo me l’altra faccia della medaglia della scelta di escluderela mafia per gli altri.

Odevaine però la gestione affaristica da parte delle cooperative dei centri di assistenza agli immigrati e i suoi guadagni non sono invenzioni…

Bisogna distinguere. Io sono il primo che ha parlato della turbativa sulla gara di Mineo e su quella storia mi sono assunto le mie responsabilità perché avevo accettato di svolgere un ruolo pubblico. Non sono d’accordo sull’impostazione data invece riguardo al mio ruolo sul tavolo del Ministero a Roma.

Nelle telefonate intercettate lei sembrava quello che decideva davvero, anche se non aveva un ruolo ufficiale di vertice. Perché?

Sì ma erano i prefetti che mi chiamavano. La verità è che nessuno si vuole assumere le responsabilità. Qui sono venuti a testimoniare in aula su di me i prefetti più importanti d’Italia. Nessuno ha riferito pressioni di alcun genere da parte mia.

Oggi cosa fa?

In Italia, grazie ai processi ma soprattutto grazie a quello che voi avete scritto sui giornali, non posso più lavorare. Cerco di ripartire dall’estero.

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