Lombardia

S’indaga sulle moschee: dall’imam radicale ai facilitatori dell’Isis

Centri islamici a rischio - L’Antiterrorismo apre un fascicolo informativo su alcune associazioni

30 Dicembre 2016

Strada di capannoni industriali. Cinisello Balsamo ieri, tra nubi basse e vento gelido. La stazione di Sesto San Giovanni a due passi. La morte del terrorista tunisino Anis Amri resta un caso aperto. Il nuovo imam di Cinisello sorride cordiale. Parla poco italiano, eppure, dice, è qui da cinque anni, prima a Vicenza poi in questo pezzo di hinterland milanese. Del Califfato e dei suoi tagliagole parla a stento. Solo dice: “Sono fatti loro”. Non approva, ci mancherebbe, ma nemmeno prende una posizione netta. Secondo fonti dell’intelligence, poi, questo imam, che predica sempre e solo in arabo, ha studiato nell’università islamica Al Imam nello Yemen, messa da tempo sulla lista nera degli Stati Uniti perché sospettata di collegamenti diretti con al Qaida. Inoltre, spiega una fonte dell’intelligence, vive in una sorta di casa-bunker con telecamere esterne frequentata da molti giovani maghrebini.

L’argomento è delicato. Il rischio di fare collegamenti fuorvianti è evidente. Un conto, infatti, sono i fondamentalisti, un altro la comunità musulmana. Lo sa l’antiterrorismo che, ben consapevole di tali implicazioni, ha inserito questo indirizzo in un lungo elenco di luoghi di culto in Lombardia. Si tratta, in totale, di 188 indirizzi tra moschee e associazioni. Solo a Milano sono 42. Un buon numero, stando alla mappa degli investigatori, nel tempo è finito nelle inchieste sul terrorismo islamico. A volte, ed è bene sottolinearlo, solamente per banali contatti telefonici. In altri casi, però, i contatti sono risultati ben più robusti. Il documento è oggi ritenuto di rilevanza strategica soprattutto dopo la vicenda che ha coinvolto Anis Amri, il macellaio della strage di Berlino del 19 dicembre scorso. La seconda tappa non è lontana. Il comune di Pioltello si trova a pochi chilometri. Il quartiere satellite sta tra via Cimarosa e via Cilea. Qui c’è un’associazione frequentata da circa 400 persone, prevalentemente di origine marocchina. L’indirizzo, spiega l’antiterrorismo, è emerso nel recentissimo fascicolo d’indagine che ha portato all’espulsione, nel 2015, di Kahlili Guentouri nato a Fès (Marocco) nel 1965.

Definito “estremista e radicalizzato”, Guentouri, scrive il Viminale, “ha espresso la sua ideologia oltranzista durante la frequentazione di diverse moschee in Lombardia”. Non resta immune la stessa provincia. Da Lecco a Como, ad esempio. Dorsale finita nel mirino dell’intelligence negli ultimi mesi. A Costa Masnaga nel Lecchese, ad esempio, la locale moschea attira molte persone. Su questo territorio e sullo stesso luogo di culto, da tempo, sta lavorando l’antiterrorismo. L’indagine ipotizza la presenza di una rete di radicali coordinata da un mister x che ricopre il ruolo di reclutatore. Oltre Lecco, a Como in via Domenico Pino, dove ha sede un’altra associazione culturale islamica. Qui, fino al 18 dicembre scorso, operava con il ruolo di coordinatore il tunisino Belgacem Ben Mohamed Belhadj. L’uomo è stato espulso perché accusato di reclutare combattenti jihadisti. Nel corso dell’inchiesta sono emersi, inoltre, rapporti pregressi con la moschea milanese di viale Jenner, negli anni Novanta vera centrale del jihad a livello europeo. Ci sono poi almeno due luoghi di culto nella zona di Varese a chiudere il triangolo del jihad lombardo. In questo caso l’alert dell’Antiterrorismo è legato a inchieste datate. “Questo però – spiega un investigatore – è un dato ricorrente nelle nostre indagini recenti”. Tradotto: il passato non è mai passato. In provincia di Varese, ad esempio, approda la storia della cellula di Ben Khemais Essid e Mehdi Kammoun. Due tunisini legati a Moez Fezzani, uno dei generali del Daesh che ha iniziato la sua carriera a Milano. Essid e Kammoun oggi dirigono il gruppo salafita tunisino Ansar al Sharia. Tutti sono legati a Noureddine Chouchane, altro tunisino, accusato di aver diretto la regia della strage del Bardo e probabilmente morto durante un bombardamento a Sabrata, in Libia, dello scorso aprile.

A Milano, poi, oltre i circuiti ufficiali, sono molte le associazioni aperte in sottoscala. Almeno due sono frequentate da esponenti salafiti di origine marocchina. Su tutte l’Antiterrorismo sta lavorando anche per tracciarne i flussi economici. Banalmente la domanda che ci si pone è: chi finanzia questi centri? Anche per questo lo stesso Comune solo poche settimane fa ha sollecitato i Servizi segreti su alcuni indirizzi particolari.

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