La storia

Napoli, “Io violentata a 15 anni dal boss. Quello ci spara e siamo da soli”

Il racconto della ragazza. I genitori: “Abusata per un anno”. In un video i colpi di pistola contro la loro casa. Poi la denuncia e la fuga

11 Dicembre 2016

La denuncia risale al 25 ottobre scorso ma, quando incontriamo Caterina, con lei ci sono solo i genitori e la sorella: “I carabinieri ci hanno lasciati senza protezione, pur sapendo che per colpa nostra il boss del rione Traiano può finire in galera”. L’accusa lanciata da Caterina (nome di fantasia) è quella di essere stata violentata per circa un anno da Gennaro Carra detto “Genny”, capo zona del quartiere, con la complicità degli affiliati: “Per mesi mi hanno seguita, minacciando i miei amici maschi di starmi alla larga”. Venuto a sapere degli abusi sulla figlia, il padre, anche lui vicino al clan di Enzo Cutolo, decide di vendicarsi. “Un mio amico mi ha detto: ‘Genny si chiava tua figlia’. Stavo morendo. Ho chiamato Caterina e mi ha detto tutta la verità, mi ha detto delle minacce e delle botte”.

È la ragazza, oggi 16enne, viso da ragazzina, una tuta indosso, a raccontare al Fatto i suoi sensi di colpa: “Non avrei mai dovuto andare con lui. È colpa mia se oggi non viviamo più a casa, se siamo nascosti, rovinati. Ma Genny mi diceva che se non andavo con lui uccideva mio padre. E sapevo che è un uomo potente nel quartiere”. Caterina mostra al padre i messaggi che le mandava Carra su Facebook. “Usava un nome falso, Nicola Flauto, ma era lui”. E i lividi: “Genny mi picchiava, anche davanti ad altra gente, perché era geloso degli altri ragazzi. Una sera mi ha presa per i capelli e mi ha sbattuto la faccia sul motorino. A volte mi picchiava per scherzo e a volte sul serio. Io non dicevo niente perché avevo paura di perdere il mio rapporto con lui. Non volevo farmi odiare perché avevo capito che sennò avrebbe ammazzato mio padre”. Ascoltata Caterina, il padre si chiude in casa: “Volevo uccidere Genny Carra. Non sapevo cos’altro fare. Mi sono armato e ho iniziato a guardare i suoi movimenti. Avevo paura di non fare a tempo, che mi ammazzasse prima a me. Se muoio prima io che fine fa la mia famiglia? Sono stato 48 ore immobile cercando di capire cosa fare”. Solo che in quel lasso di tempo, Carra viene a sapere che Caterina ha parlato. “A fare la spia è stato il fidanzato della mia figlia più grande – racconta la madre di Caterina –. Pensavamo di poterci fidare di lui, invece era una talpa di Carra”.

A questo punto, secondo la denuncia presentata ai carabinieri di Napoli Bagnoli contro “il pregiudicato Genny Carra appartenente all’organizzazione camorristica clan Cutolo”, interviene Candida Cutolo, moglie di Carra: “Ma che è ’sto fatto? – urla ai genitori di Caterina – Embe’, quella figlia ’e bucchin’ di tua figlia si è fatta rompere la fessa da Zazzino e lo vorresti da me il prosciutto?”. Sbattuta fuori casa, telefona al marito chiedendogli di raggiungerla. Quello che succede dopo – e che ha spinto la famiglia a denunciare – viene registrato dalle telecamere che il padre di Caterina aveva installato fuori casa: come si vede nel video disponibile su ilfattoquotidiano.it, Genny Carra arriva accompagnato da altre persone, punta una pistola verso l’abitazione di Caterina e fa fuoco almeno due volte. “Ricordo perfettamente – si legge nella denuncia della madre – che Enzo Cutolo ha alzato lo sguardo verso la mia abitazione iniziando a inveire, verosimilmente contro mio marito, con le testuali ingiurie: ‘Scurnacchiato… pecorone…’. (…) Udivo numerose persone avvicinarsi e, subito dopo, la deflagrazione di alcuni colpi d’arma da fuoco a distanza molto ravvicinata, certamente provenienti dalla tromba delle scale. (…) Subito ho contattato il 113”.

Gli agenti arrivano dopo pochi minuti, sufficienti perché una donna, identificata nella denuncia come la moglie di un altro pregiudicato del clan Cutolo, vada a raccogliere i bossoli. Restano due fori nella porta d’ingresso e uno nella parete adiacente. In caserma, la madre di Caterina mette il video a disposizione dei carabinieri e scrive: “Per quanto è accaduto ho ragione di ritenere in serio pericolo l’incolumità mia e dei miei familiari. (…) Le persone che ho nominato, facendo riferimento al Genny Carra, sono notoriamente spietate e vendicative. Non ho dubbi che abbiano una cospicua disponibilità di armi e che non esiterebbero ad attentare ulteriormente alle nostre vite”.

Passano le settimane e la famiglia di Caterina non può tornare a casa. Resta nascosta prima alle porte di Napoli, poi si sposta in un’altra città. Dalla caserma di Napoli Bagnoli fanno sapere che “l’indagine è in corso, è tutto al vaglio dell’autorità giudiziaria” e “la famiglia non è stata lasciata sola”. Ma il rione Traiano, spiegano, è un posto molto particolare, paragonabile a Secondigliano per lo spaccio. Solo lo scorso novembre la polizia ha smantellato un mercato della droga aperto 24 ore al giorno, mentre i carabinieri, a distanza di un paio di giorni, svelavano con un blitz una delle principali basi di appoggio per rifornire le piazze di spaccio. Armi, droga e arresti, nel rione Traiano, sono all’ordine del giorno. E le indagini sono dunque delicate e “richiedono tempo”, soprattutto per un soggetto come Carra.

Quando chi scrive incontra Caterina e i genitori, però, della scorta non c’è traccia: “I carabinieri ci hanno detto di denunciare, che ci avrebbero protetti, eppure Genny resta libero come prima. È libero anche di cercarci – si sfoga il padre di Caterina – e noi siamo tutti a rischio. Io so di essere un uomo morto, ma qui rischiamo tutti di essere uccisi: Caterina, la mia altra figlia e mia moglie per via della denuncia. Genny sa che possiamo mandarlo in galera per quello che ha fatto con una minorenne. Ho detto ai carabinieri: ‘Vi porto anche subito da Genny’, ma loro hanno risposto di non preoccuparmi”.

Pochi giorni fa, dopo settimane di attesa in cui la famiglia è rimasta nascosta, Caterina è stata ascoltata dal pm alla presenza di uno psicologo. Ha raccontato degli abusi, delle violenze e delle minacce cominciate quando ancora aveva solo 14 anni, confermando tutto quello che già aveva raccontato al Fatto. Spiega l’avvocato che assiste Caterina, che per ragioni di sicurezza ha chiesto di rimanere anonimo: “Carra non è l’unico capo zona dedito alle minorenni. Nella sua cerchia stretta c’è un gruppo di amici che si scambia video amatoriali in cui ci sono minorenni che effettuano autoerotismo”. La famiglia di Caterina ora spera che le pallottole nella porta di casa e ben due denunce siano sufficienti perché le autorità procedano contro Carra, prima che decida di sparare di nuovo.

 

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