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Oliviero Beha, tenace e ostinato. È triste pensare che sia tutto finito

Oliviero Beha, tenace e ostinato. È triste pensare che sia tutto finito
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Oliviero Beha lascia un vuoto enorme nel giornalismo italiano. Pochi come lui. Così tenace e ostinato a cercare con puntiglio e intelligenza il paradosso delle verità nascoste tra le pieghe dei fatti, grandi e piccoli, e non solo nel calcio, anzi. Aveva anche il gusto di raccontare non tanto per il piacere di farsi leggere, piuttosto per inculcare il dubbio nel lettore, per fargli sorgere delle domande e metterlo in crisi.

Ha scritto tanto nella sua vita, fino all’ultimo, come un dovere da compiere e per rispetto nei confronti di se stesso e della sua storia, contrassegnata da successi bellissimi e contrasti forti con tutti i direttori coi quali ha avuto a che fare. Non era tanto una questione di carattere difficile ma di atteggiamento e convinzione: la libertà la si conquista sul campo, articolo dopo articolo. Peccato che come lui ce ne siano pochi, basta ripercorrere la sua carriera sempre controcorrente di giornalista e scrittore, costellata da successi straordinari come le trasmissioni Va’ pensiero (con Andrea Barbato), Radio Zorro, Radioacolori e da inchieste clamorose come quella relativa alla combine tra Italia e Camerun, in occasione dei Mondiali del 1982, che poi gli costò il posto a la Repubblica.

Questo era Oliviero: sincero, coraggioso e pronto a denunciare tutto quello che non era giusto, meschino o falso, non importa se di destra o di sinistra. Le parole erano il suo pane, il suo teatro che allestiva ogni volta con cura e passione, con il gusto di chi intende la scrittura come un’arte di vivere, un saggio di intelligenza da rispettare sopra ogni cosa.

Per me è triste pensare che tutto questo sia finito, che non potremo più incontrarci per confrontarci e condividere nuovi progetti. Ma le sue numerose e fortunate opere (da Italiopoli, il primo libro di Chiarelettere, al recentissimo Mio nipote nella giungla) rimangono come testimonianza rara di un uomo che ha lottato, spesso da solo e mal visto, per difendere la libertà di parola contro qualsiasi normalizzazione e la distrazione di troppi intellettuali.

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