Ora ci sono tutti, non manca nessuno: capigruppo parlamentari, ordini di medici, sindaci, giornali e perfino telegiornali. “Bisogna fare presto”, “Subito la discussione”, “E’ il momento di una legge”. Prima – prima che Fabiano rendesse la sua anima – il silenzio era perfetto, le parole di Fabo e dei pochi che l’hanno sostenuto rimbalzavano sul muro e tornavano indietro, dove nessuno poteva più sentirle. Le foto del dj – ora bloccato a letto, ora sano e sorridente – rischiano di assomigliare a quelle di Piergiorgio Welby, ora capellone ora in sedia a rotelle, o a quelle di Eluana Englaro: il sorriso largo e la luce negli occhi che però ormai non c’erano più. Le immagini di Fabo rischiano di diventare un nuovo simbolo che la politica utilizzerà per litigare per qualche giorno, finendo per rimettere tutto dentro l’ultimo cassetto. Dj Fabo da vivo era inascoltato, da morto diventa il centro della battaglia politica.

L’ultimo dibattito su Eluana si trasformò in un orrido rodeo, solleticò il fondo del barile berlusconiano: il saggio costituzionalista Quagliariello disse con la sua lisca che Eluana era stata “ammazzata“, l’allora presidente del Consiglio riuscì a dire durante una conferenza stampa che in fondo Eluana – in stato vegetativo da 17 anni – tecnicamente poteva anche “generare un figlio”. Sono passati otto anni da quella rissa in Aula e nel frattempo la politica non ha fatto niente, né sul testamento biologico né su nient’altro. Il centrodestra ci provò con una maggioranza raccogliticcia durante il governo Monti, sotto la guida di Eugenia Roccella. Forza Italia, Udc e Lega – che litigavano su tutto – cercavano di fare una legge che, come disse l’allora senatore Ignazio Marino, obbligasse ai “trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale”. Tradotto: il vuoto legislativo veniva riempito non con più diritti, ma con più precetti.

Fu proprio il vuoto legislativo, decretato da un giudice, ad aprire finalmente la discussione nel 2006: i legali di Welby avevano chiesto al tribunale la fine dell’accanimento terapeutico e i magistrati risposero che non esisteva una legge in materia. Pochi mesi prima Welby aveva scritto una lettera all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, così come Fabo si era rivolto a Sergio Mattarella in queste settimane. Undici anni fa il capo dello Stato rispose che sperava che il confronto sul fine vita avvenisse al più presto e prendesse forma “nelle sedi più idonee, perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento”.

Da allora si sono moltiplicati i casi di malati che hanno scelto la “fine con dignità” e nel frattempo la politica non è riuscita a fare niente, accantonando sempre il tema per far spazio ad altro: e cosa finisce in discussione nelle aule parlamentari lo sanno tutti. Gli appelli, nel corso degli anni, si sono moltiplicati: i casi di Giovanni Nuvoli e poi di Mario Fanelli e ancora Walter Piludu. Ma la politica ha fatto finta di nulla. In tutto questo tempo e fino a oggi l’ultima parola – come accade tutti i temi di bioetica, dalla stepchild adoption alla fecondazione assistita – è toccata a giudici e tribunali, fino alla Cassazione e alla Corte Costituzionale.

La politica, invece, è rimasta nascosta dietro qualche uscio. Il motivo è che “questo Parlamento non esiste, galleggia” denuncia il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, Cinquestelle. Ma non si può limitare al solo problema di operatività dovuta a una maggioranza pavido perché eterogenea. Prima che Fabiano morisse, infatti, il problema del fine vita era per pochi, pochissimi, nel dibattito pubblico, riempito piuttosto di scandali, vitalizi, primarie di partito, muri contro i migranti. Negli anni, nei Comuni sono nati ovunque i registri per il testamento biologico, l’Italia è rimasta come al solito ultima in Europa, ma in Parlamento la legge sull’eutanasia è sepolta dopo che per la prima volta ha iniziato un suo iter alla Camera, mentre quella sul biotestamento è stata combattuta con l’ostruzionismo.

“Questa è una legislatura straordinaria per il lavoro svolto sui diritti” esultava il capogruppo alla Camera del Pd Ettore Rosato a metà febbraio, dopo l’ok in commissione. Si era deciso per la discussione in Aula da fissare proprio oggi, 27 febbraio, fatalmente il giorno in cui Dj Fabo non ce l’ha fatta più. Ma poi i rinvii sono diventati tre e la legge dovrà aspettare marzo o ancora chissà quando. D’altra parte, a oltre 10 anni dal caso Welby, ancora a gennaio il Nuovo Centrodestra, con Valentina Castaldini, aveva detto che la legge sul testamento biologico “non è una priorità da affrontare in questo momento” e la Lega Nord aveva aggiunto che il rinvio dell’esame in Parlamento deve “obbligare tutti a un’ulteriore e approfondita pausa di riflessione”, come aveva aggiunto Alessandro Pagano. Il Pd, a parte qualche voce isolata, è rimasto a litigare sulle sue scissioni. I cosiddetti “liberali di Forza Italia” sono dati per dispersi. Di sicuro i leader dei partiti restano come sempre a (grande) distanza di sicurezza dall’argomento. La giustificazione che vale in eterno è che sono argomenti sottoposti “alla coscienza di ciascuno“, come si sente dire in questi casi. Resta che “in questi dieci anni – come disse Emma Bonino tempo fa, ricordando Welby – tanti dolori non necessari sono stati inflitti agli italiani che non hanno la possibilità di metter fine alle proprie sofferenze”.

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