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Donald Trump presidente, Dio benedica l’America (e tutti noi)

Donald Trump presidente, Dio benedica l’America (e tutti noi)
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Ha fatto proprio il discorso che mi aspettavo facesse. E che, in qualche misura, speravo facesse. Non perché sia d’accordo con qualcosa che ha detto: neanche con una parola. Ma perché così Donald Trump non lascia spazio a chi continua a credere, o almeno a raccontare, che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato: il primo discorso del Trump presidente è stato come un qualsiasi discorso del Trump candidato. Solo più agghiacciante, perché lui adesso è presidente.

Lascio stare la cronaca e il resoconto, ché quelli li trovate sul giornale o in altra parte sul web. Mi limito alle impressioni, le mie. E’ stato un discorso senza radici, senza storia, senza riferimenti. Trump non ha citato nessuno, tranne se stesso: non ha citato i suoi predecessori, né uomini di cultura o di scienza, a parte un paio di richiami (a modo suo, non precisi, un po’ per sentito dire) alla Bibbia. E non ha neppure citato un qualsiasi Paese estero, né la Cina né la Russia, figuriamoci l’Europa, a meno che non ci siano fischiate le orecchie quando ha detto che gli Stati Uniti hanno sprecato le loro risorse per difendere altri Paesi – fossimo mai noi? – mentre non proteggevano se stessi.

E’ stato un discorso inquietante e arrogante: “Domineremo di nuovo il Mondo” e gli altri saranno “liberi di seguirci”, “sradicheremo dalla faccia della Terra il terrorismo integralista islamico”, “sconfiggeremo la droga e le malattie”, nella serie “miracoli offrensi”.

E’ stato un discorso, come spesso i suoi, mirato a suscitare lo spirito di rivalsa dei perdenti d’America, illudendoli che lui, miliardario con il culto del profitto, sia il loro profeta.

E’ stato un discorso, come sempre i suoi, che partiva da presupposti totalmente falsi: descrive l’America lasciatagli in eredità da Barack Obama come un Paese in macerie che ha subito – letterale – “una carneficina”, una sorta di Germania Anno Zero di Roberto Rossellini o di The Day After d’un attacco atomico – il film si riferiva a una catastrofe ambientale, ma quella Trump non la contempla, semmai la facilita -.

E’ stato un discorso nazionalista e protezionista: America First, “comprate americano e assumete americano”. Questa l’abbiamo già sentita: è l’ennesima versione dell’autarchia italica, che non finisce mai bene, ma che dopo un po’ torna a piacere perché suona bene.

E’ stato un discorso senza concessioni alla cooperazione internazionale e alla solidarietà fra i popoli della Terra, come nessun presidente americano ha mai fatto, di sicuro da Roosevelt in poi – magari, qualcosa di simile erano i discorsi dei presidenti repubblicani degli anni Venti, tra proibizionismo e charleston, che prepararono la crisi del ’29 e, senza né volerlo né rendersene conto, contribuirono ad avviare il Mondo verso la Seconda Guerra Mondiale. Persino Bush Jr, “rinato in Cristo”, voleva e vedeva l’America “compassionevole” e “misericordiosa“, anche se poi invadeva Paesi a buffo e faceva torturare presunti terroristi.

E’ stato un discorso da Robespierre del XXI Secolo: sembrava di stare su una piazza insanguinata della Rivoluzione francese (e non solo perché l’ho seguito da Parigi). Trump ha sommariamente processato in pubblico, sollecitando gli astanti e tutta la gente che lo seguiva alla tv a essere giurati, i presidenti suoi predecessori che sedevano dietro di lui e tutta la classe politica statunitense che assisteva al suo insediamento – tranne le decine di senatori e deputati che disertavano l’evento, non riconoscendone la legittimità o semplicemente non accettandone le scelte –. Li ha accusati di fare solo chiacchiere, mentre adesso “è l’ora dei fatti“: d’ora in poi, voi, il popolo, decidete; ed io, Donald, faccio.

E’ stato il primo discorso del 45° presidente degli Stati Uniti. Che si è chiuso con l’inevitabile “Dio benedica l’America”. Ecco, su questo auspicio concordo: Dio, quale che egli sia, benedica l’America e l’aiuti, e ci aiuti, a superare i prossimi quattro anni senza guasti peggiori di una caterva di mediocri discorsi.

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