“Esiste una corrispondenza tra lo scioglimento massiccio del permafrost nell’Artico e l’aumento dei gas serra in atmosfera”. Dopo anni di ipotesi, la conferma arriva dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Ismar-Cnr), che ha coordinato uno studio internazionale pubblicato su Nature Communication. Un terzo del carbonio della Terra si trova nell’Artico, in uno stato congelato noto come permafrost. Quello che è stato scoperto grazie al carotaggio effettuato nel mare di Laptev, margine siberiano del Mar Glaciale Artico, è che negli ultimi anni questi suoli “stanno subendo un progressivo riscaldamento e sono quindi a rischio di scioglimento”.

Quali sono le conseguenze lo spiega Tommaso Tesi, ricercatore di Ismar-Cnr e primo autore del lavoro: “Tale processo trasforma materiale virtualmente inerte in un substrato nuovamente disponibile per la decomposizione batterica, con il conseguente rilascio in atmosfera di carbonio e metano, due gas serra coinvolti nel riscaldamento globale”. “Considerando che il permafrost – aggiunge il ricercatore – contiene oltre due volte la quantità di carbonio presente in atmosfera prima della rivoluzione industriale, il processo di scioglimento e il successivo rilascio dei gas serra rappresentano una significativa conferma del contemporaneo riscaldamento globale”.

Prima di questo studio però non esistevano certezze di un reale scioglimento del permafrost. “Nel 2014, durante la campagna oceanografica Swerus-C3 a bordo della rompighiaccio svedese Oden – racconta Tesi – abbiamo prelevato delle carote di sedimento, un archivio unico per la ricostruzione storica del permafrost durante l’ultima deglaciazione. Usando le informazioni contenute nel sedimento, abbiamo rivelato che la quantità di carbonio terrestre trasferito dal permafrost all’ambiente marino durante la fine della deglaciazione è stata accelerata, con un flusso medio annuale di carbonio rilasciato pari ad oltre sette volte il contemporaneo apporto da parte dei fiumi”.

Sulla base di questi risultati, gli autori hanno ricostruito l’evoluzione del permafrost durante il passaggio glaciale-interglaciale. “Durante l’ultima deglaciazione, circa 21.000 anni fa, il nord della Siberia era dominato da un permafrost spesso e molto più esteso rispetto alle condizioni moderne”, spiega il ricercatore. “Lo scioglimento, favorendo l’erosione del materiale terrestre e quindi il rilascio di permafrost nell’ambiente marino, ha avuto come conseguenza anche un aumento sensibile nella produzione di anidride carbonica e, potenzialmente, di metano durante il riscaldamento post-glaciale. È credibile – conclude Tesi – che quanto descritto nel nostro lavoro possa rappresentare una prefigurazione del paventato futuro cambiamento climatico e che quindi questi processi possano manifestarsi nuovamente in uno scenario di riscaldamento causato dall’uomo“.

L’articolo su Nature

Articolo Precedente

Regali di Natale, “empatia e concretezza i criteri per quelli perfetti”

next
Articolo Successivo

“Ecco perché il tempo sembra passare velocemente quando stiamo bene”

next