Nel giorno in cui dieci donne sono morte nell’ennesimo naufragio a poche miglia dalle coste libiche, nel porto di Augusta è arrivato, trainato dalla nave Ievoli Ivory, il relitto del peschereccio affondato il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia. L’imbarcazione è stata recuperata tre giorni fa a conclusione di una complessa operazione, disposta da Palazzo Chigi, affidata al ministero della Difesa e coordinata dalla Marina Militare.

In quello che resta del natante azzurro, rimasto per oltre un anno a circa 400 metri sul fondale del Mediterraneo, ci sono “tra i 250 e i 300 corpi“, come ha riferito il contrammiraglio della Marina militare italiana Pietro Covino, che ha incontrato i giornalisti sul pontile Nato di Melilli per rendere noti i particolari dell’operazione di recupero (che, ha aggiunto, “non era mai stata fatta per un peschereccio di tali dimensioni e a una profondità di circa 400 metri”). Ma anche per chi ha preso parte alle operazioni è difficile fare una stima esatta delle vittime: ancora, infatti, non si conosce il numero delle persone che erano a bordo del peschereccio prima che affondasse e nemmeno quanti sono i dispersi in mare. Gli unici numeri certi sono quelli dei 28 sopravvissuti (che hanno fornito il numero di oltre 700 passeggeri imbarcati) e delle 169 salme già recuperate in mare dai sommozzatori della Marina militare e dei vigili del fuoco. 

Proprio questi ultimi saranno i primi a intervenire sul relitto, cercando di valutare lo stato di sicurezza del natante (che sarà custodito in un apposito hangar refrigerato in un molo del porto di Augusta) e di recuperare i corpi. Poi cominceranno le autopsie e le identificazioni delle vittime da parte dell’equipe coordinata dalla professoressa Cristina Cattaneo della sezione di Medicina legale dell’università di Milano, con la collaborazione degli atenei di Catania, Messina e Palermo e dei medici della polizia di Stato. Le salme, infine, saranno tumulate in cimiteri siciliani. “Abbiamo già centinaia di richieste e stiamo raccogliendo dati dai familiari che si trovano in Senegal e Mali – ha detto la professoressa Cattaneo – e riceviamo richieste dai parenti che sono nel nord Europa. C’è già pronto il materiale necessario per fare i confronti. Il riconoscimento ha una ripercussione sui familiari vivi, ma ci sono anche ripercussioni amministrative perché alcuni ricongiungimenti sono impossibili perché mancano i certificati di morte”.

L’intera operazione, finanziata dalla Presidenza del Consiglio, è costata 9,5 milioni di euro: “Nella prima fase, relativa all’ispezione del relitto – ha spiegato il contrammiraglio Covino – sono stati spesi 1,4 milioni di euro. Per la progettazione del recupero il finanziamento è stato di 1,6 milioni di euro, mentre per la mobilitazione dei mezzi il costo è stato di 6,5 milioni di euro“. Le autopsie e le identificazioni delle salme, curate dell’equipe coordinata dalla professoressa Cristina Cattaneo della sezione di Medicina legale dell’università di Milano, saranno invece gratuite grazie alla disponibilità delle università di Catania, Messina e Palermo e dei medici della polizia di Stato. Un’operazione che, secondo il presidente del Consiglio Matteo Renzi, andava fatta per “dare una sepoltura a quei nostri fratelli, a quelle nostre sorelle che altrimenti sarebbero rimasti per sempre in fondo al mare”. Sul suo profilo Facebook il premier ha poi scritto: “Grazie alla Marina Militare, fiero di essere italiano. Lavoriamo tutti i giorni perché l’Europa sia all’altezza dei valori che l’hanno fatta grande”.

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