L’impegno sociale negli ultimi 35 anni si è in gran parte trasferito dai partiti alle ong e al non profit in generale. Ricordo ancora quando- dirigente di un’associazione di volontariato ambientalista nel 1980, il ‘compagno Berlinguer’ riconobbe il ‘valore sociale dell’associazionismo’- che soddisfazione- e per molti un ‘via libera!’ fu.  Fino a 20 anni fa l’impegno nel non profit era visto erroneamente come ‘volontariato’ a causa della percezione distorta che ne davano i media, compresi quelli ‘nonprofit’.

15 anni fa abbiamo iniziato la nostra ‘battaglia’ per far capire che ‘nel non profit si lavora’. Sono 10 anni che apro le interviste dichiarando ‘il non profit non è solo il volontariato….” E via discorrendo. Qualche risultato, lo abbiamo raggiunto. Ho dato un’idea aggiornata anche quantitativa del lavoro nel settore nel mio ultimo post lavoro nelle ong: dove cercarlo e come trovarlo.
Dunque, centinaia di migliaia di persone in Italia cercano di rendersi utili concretamente per cambiare il mondo e lavorare e fare carriera. Attratti anche da una carriera internazionale nei vari profili professionali più richiesti.

Com’è possibile, allora, che ci siano ong che non trovano il personale e non riescano a far partire i progetti perdendo centinaia di migliaia di euro, e che il ‘matching’ domanda-offerta sia così faticoso?  Lo abbiamo chiesto agli hrm nell’ultima ricerca ‘Il Jobposting delle ong Italiane-una giungla di opportunità di cui abbiamo pubblicato estratto su questo blog (vedi post prima citato). Emergono alcune criticità.

Sui profili medio alti- molte delle figure cercate sono senior officer con esperienza, poche sono libere, molte sono troppo junior. C’è difficoltà nel trovare persone con qualifiche specifiche tecniche medio alte (per esempio il “Campaigner”). C’è, altre volte, un problema economico – si cercano profili molto professionali da un lato anche provenienti dal for profit, mentre l’organizzazione non dà, come pacchetto contrattuale, offerte competitive rispetto al for profit.

Sui profili medio-bassi, l’apertura di un processo serio di recruitment è molto impegnativo, si teme di investire seriamente sulle risorse a causa del turn-over, e c’è poca cura dei bacini potenziali di reclutamento.  Come uscirne? Un elemento che potrebbe essere significativo è l’innovazione-automazione del processo di recruitment, ancora “manuale”. In Italia non esistono piattaforme di recruitment come qui in Spagna (vedi JobTalent), da dove scrivo, e che abbiamo sperimentato bene. Funziona mediante algoritmi che permettono un rapido matching su migliaia di cv. In pratica, invece di ricevere 500 cv- doverli vedere tutti a mano ed estrarne poi 4-5, tramite piattaforme basate su algoritmi alla Organizzazione arrivano solo 10-15 cv con un ottimo livello di matching. JobTalent non è ancora operativa in Italia, se e quando lo sarà potrebbe essere una svolta.

Sempre sul tema dell’innovazione del Recruitment, segnalo anche l’articolo “In Hiring Algorithmsbeat Instinct” sulla Harvard Business Review, sull’uso degli algoritmi nei processi di decisione finale nell’assunzione- meglio che ‘ad istinto’ come nelle ricerche riportate dall’articolo (e grazie al collega Stefano Oltolini di Coopi per la segnalazione). In Italia, inoltre, non ci sono agenzie di recruitment (automatizzate o meno) specializzare per il non profit perché – ci dicono- dal punto di vista economico non sono sostenibili.  Aggiungiamo il fatto che le Organizzazioni usano poco e malissimo Linkedin.

Esistono delle buone piattaforme di Job Posting (non algoritmiche), come Info-cooperazione, Job4Good, Volint, Vita.it. Una particolarmente vivace per il modo di comunicare le Vacancy con un tweet, l’ottimo servizio di Ong2.0, ( account Twitter @ong2zerojobs, sviluppato dalla collega Silvia Pochettino e staff). Quindi per il candidato, se informato sui vari canali (e dopo questi post ormai sa tutto!) non c’è il problema di ‘trovare le offerte’.

Rimane il problema delle organizzazioni di aprire lunghi e faticosi processi di selezione, interni ed esterni, e trovare i giusti candidati.  Candidati che peraltro fanno cadere le braccia per la superficialità con cui si propongono: o si muovono senza alcun piano di carriera, non presentano lettere motivazionali di accompagnamento, inviamo il cv stile ‘inoltra a tutti’ senza neanche un saluto o la personalizzazione della mail, non hanno neanche la metà dei requisiti richiesti, se arrivano al colloquio a volte non conoscono neanche a sufficienza l’organizzazione- e quindi fanno perdere tempo agli Hrm.

Ecco perché il passaparola e l’head hunting, alla fine, sono modalità ancora fortissime, e per ora gli algoritmi… non sostituiranno gli Hrm.  Con il progetto ‘Working4’ abbiamo avviato, tramite questo blog e blog4Change, un confronto con gli Hrm di settore, i colleghi che gestiscono le piattaforme di Job posting e l’ampio pubblico di potenziali candidati, per continuare a dare il nostro modesto contributo allo sviluppo professionale del settore non solo con la formazione, e affinché tanta gente in gamba, per far carriera e vivere, non sia costretta per forza a “perdersi” nelle multinazionali.

Se sei interessato a lavorare nel non profit, leggi anche altri post dell’autore:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/22/non-profit-il-fundraising-una-professione-tra-magia-e-management/2055344/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/21/non-profit-4-domande-per-cambiare-vita/1095992/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/16/lavorare-nel-non-profit-se-non-ora-quando/953566/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/06/non-profit-quarantenni-coraggio-ce-lavoro-per-voi/734332/

www.socialchangeschool.org Link utili di approfondimento: blog4change,
Per scrivermi: m.crescenzi@socialchangeschool.org – con riferimento al titolo del post.

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