Come piloni di cemento armato, tutto si tiene se reggono loro. Altrimenti, pouf, la casa va in rovina. Nessuno di voi conosce Raffaele Topo, detto Lello, da Villaricca? E per caso, vi è noto, Mario Casillo, nato a Boscoreale ma possidente in quel di Marigliano? Lello e Mario sono macchine di voti, facitori di tessere, raccoglitori di municipalizzate. Hanno cinto in un abbraccio vittorioso Vincenzo De Luca e lo hanno spinto sul trono di Campania. La catena gira, l’acqua scorre e arriva ai piedi di Matteo Renzi, l’ereditiere.

I voti si pesano e si contano, ma non hanno odore e sapore. E il Sud promette fortune a basso rischio. La vicenda di Stefano Graziano, il consigliere regionale casertano appena finito sotto inchiesta per aver favorito il clan dei casalesi, è il dazio da pagare all’imprevisto. L’indagine, il carcere, i guai giudiziari sono malattie professionali, rischi connessi all’attività. Chi non risica…

Torniamo al signor Topo e a Napoli. Lello Topo era il factotum di don Antonio Gava, il boss, il re della Democrazia Cristiana, il generatore di consensi e negoziati. Lello ha la sua scuola nel sangue e una capacità di mettere a profitto gli anni trascorsi insieme al caro leader che è servita quando ha dovuto scegliere con chi accasarsi. È l’uomo forte del Pd, uomo forte di Napoli e della Regione, quindicimila preferenze vista mare. È naturalmente presidente della commissione Sanità. A Napoli c’è Mario Casillo, un altro trasformer di grido, l’invisibile che registra i passi altrui e li decodifica, gestisce le acquisizioni politiche, assicura il governatore dai rischi delle urne. Diciottomila voti, ecco il risultato. Il consigliere Casillo è un’autorità.

Figlio d’arte, come tanti. Perché nel Mezzogiorno il potere si conserva e si tramanda per famiglie che a volte, come accade nel piccolo Molise, socializzano gli utili e producono economie di scala. A Campobasso il presidente si chiama Paolo Frattura, figlio di Fernando, ex deputato. Paolo era con Forza Italia, ma è stato eletto con il Pd. E ha trovato un gattone, così lo chiamano a Termoli, ad accompagnarlo nella sua corsa. Remo Di Giandomenico, già sindaco e già deputato del centrodestra, il gattone appunto, ha scelto l’amico del cuore quando ha dovuto votare per la Regione. E amico è anche Aldo Patriciello, imprenditore della salute e di altro, europarlamentare con Forza Italia. Tre famiglie un nome solo. Frattura incassa e provvede al bonifico: chi guadagna è sempre Matteo Renzi.

Se la politica dovesse far caso ai guai giudiziari e accogliere l’invito di Davigo a vergognarsi quando ne è coinvolta, in Puglia cosa resterebbe? Michele Mazzarano è stato coinvolto in due inchieste: la prima per aver ottenuto soldi da Giampaolo Tarantini, la seconda per avergli promesso favori in appalti alla Asl di Taranto. Si è dichiarato innocente e si è detto rattristato per dover continuare a patìre la gogna. Il partito ha compreso il disagio e in attesa della sentenza definitiva l’ha indicato come capogruppo del Pd in Regione. Un altro disagio stava occorrendo al barese Mario Loizzo che vedeva arrestata la sua carriera per aver già svolto i suoi due mandati da consigliere regionale. E tutti quei voti Loizzo dove li avrebbe portati? E la sua passione dove sarebbe finita? Hanno compreso e gli hanno concesso la deroga: ora è felice e presiede il consiglio regionale. In politica non esiste tempo e non esiste la fine. I voti sono come quei derivati: producono interessi su interessi a condizione che la catena non si spezzi. Figurarsi in Basilicata che è piccola di suo. I fratelli Pittella comandano. Il primo, Gianni, a Strasburgo è capogruppo, il secondo, Marcello, è governatore. Poi ci sono il terzo, il quarto, il quinto. Non sono fratelli, ma è come se lo fossero. Stagionato ma senza acciacchi, Vito Santarsiero, re di Potenza e già sindaco. La famiglia degli imprenditori Somma è lì che tifa, due sottosegretari (Vito De Filippo e Filippo Bubbico) definiscono il rettangolo di gioco.

Siamo alla categoria dei predestinati. E in Calabria tutto va come al solito. Comanda Nicola Adamo, da Cosenza. L’anima del Pd non ha guai rilevanti quindi è ancora titolato a sigillare i migliori affari politici. Per merito suo andò al governo della regione Agazio Lojero, ex mastelliano e ora neo renziano. Riuscì, con un talento imprevisto, a non fare nulla. Sembrava irraggiungibile e invece Mario Oliverio, l’attuale presidente, lo sta superando. Anch’egli del Pd, appartenente alla corrente gnè-gnè. Quando parla non si spiega, quando decide non sceglie, quando promette non garantisce. Gnè avanti, gnè indietro. Da segnalare nel gruppo dei vittoriosi la fantastica figura del cosentino Franco Covello, altro puledro mastelliano poi conquistato dal renzismo. I nemici di partito lo chiamano caciocovello per la sua disponibilità alla trattativa da tavola. Naturalmente beniamino delle folle, ha voluto che la sua figliola Stefania, dopo un breve stage in Forza Italia come consigliere comunale a Cosenza, fosse chiamata al Parlamento. È infatti deputata.

Figlie benedette come Daniela Cardinale, deputata e soprattutto cocca di babbo Salvatore, a sua volta cocco di Calogero Mannino. Oggi Totò Cardinale è lo speaker metarenziano sul territorio e perora la causa di Davide Faraone, il leopoldo di Palermo, a successore di Crocetta. Sul punto c’è una piccola contesa con Enzo Bianco, che i suoi quarant’anni di politica li ha spesi ben bene e ora vorrebbe lasciare Catania, dov’è tornato per la terza volta a fare il sindaco, per andare a guidare Regione Siciliana.

Articolo modificato da redazione alle ore 13 di domenica 1° maggio

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