di Martina Bazzoli, Silvia De Poli e Carlo Fiorio (Fonte: lavoce.info)

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L’esercizio di valutazione

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare del bonus di 80 euro, ipotizzando di estenderlo ai percettori delle pensioni più basse. Per il momento nulla è definito e tuttavia l’esperienza maturata con il bonus per i lavoratori dipendenti ci permette alcune considerazioni che possono essere rilevanti in questa fase di riflessione preliminare.

È innegabile che il bonus lavoratore dipendente abbia avuto un impatto significativo sulla disponibilità di reddito dei lavoratori. Chi lo ha percepito per intero partendo da un reddito annuo di 8mila euro ha avuto un incremento del proprio reddito disponibile del 12 per cento e per chi aveva un reddito di 24mila euro l’incremento è stato comunque del 4 per cento.

Il bonus, così come è attualmente in vigore, è stato tuttavia criticato per tre principali motivi: esclude gli incapienti; è limitato solamente ai lavoratori dipendenti; poiché si è utilizzato come condizione di eleggibilità (means-testing) solo il reddito individuale, è stato assegnato in una proporzione rilevante anche a individui che appartengono a nuclei familiari con redditi elevati.
La terza critica suggerisce che la politica di trasferimento sia finita nelle tasche sbagliate, se l’obiettivo era di stimolare i consumi (considerata l’evidenza empirica che chi ha redditi bassi tende a consumare una quota maggiore del proprio reddito disponibile) e ridurre l’incidenza della povertà.

L’esercizio di valutazione

Abbiamo provato a effettuare una valutazione ex ante di un possibile bonus di 80 euro per pensionati a basso reddito. Il 63 per cento delle pensioni ha un importo inferiore a 750 euro (Statistiche in breve, marzo 2016 Inps). Questo valore, pur indicando un’alta percentuale di pensioni erogate di limitato importo, non rappresenta però il numero di pensionati poveri, sia perché molti sono titolari di più prestazioni pensionistiche o di altri redditi, sia perché il tasso di povertà è tipicamente una misura su base famigliare e per calcolarla si devono considerare anche i redditi degli altri componenti della famiglia.

Utilizzando il modello di microsimulazione Euromod (www.euromod.ac.uk) costruito con i dati di It-Silc abbiamo innanzitutto verificato dove vivono i pensionati “poveri”.
Abbiamo in particolare calcolato il reddito familiare equivalente con la scala Oecd modificata (generalmente usata da Eurostat) come indicatore del livello di benessere individuale. Quindi abbiamo diviso la popolazione in cinque gruppi ugualmente numerosi di redditi familiari crescenti (quintili).

La figura mostra che oltre il 24 per cento dei pensionati “poveri”, ossia con pensioni inferiori a 750 euro, si trova in nuclei familiari degli ultimi due quintili, quindi non in condizione di indigenza. Se si aggiunge la condizione di percepire una pensione minima (500 euro) e di percepire un reddito complessivo individuale inferiore ai 26mila euro annui, la percentuale scende rispettivamente a 20 per cento e 19 per cento.

Abbiamo quindi provato a ipotizzare che il bonus di 80 euro venga pagato a pensionati che hanno almeno la pensione minima (quindi escludendo coloro che non hanno diritto all’integrazione al minimo) e non maggiore di 750 euro, ipotizzando che, per ragioni di semplicità e di coerenza con  la misura per i lavoratori dipendenti, l’accesso il bonus sia legato al reddito individuale e che non venga corrisposto se questo è superiore a 26mila euro.

La nostra valutazione ex-ante mostra i seguenti risultati. Il costo complessivo della manovra corrisponde a 2,5 miliardi di euro. Circa 456mila (su 2,6 milioni) dei destinatari appartengono però agli ultimi due quintili. Complessivamente, circa il 16 per cento del totale pagato per il bonus (più di 400 milioni di euro) finirebbe nelle tasche di pensionati che stanno nel 40 per cento più benestante della popolazione e un ulteriore 21 per cento (circa 530 milioni di euro) in quelle di pensionati che appartengono a famiglie nel terzo quintile. Così come ipotizzato in questa simulazione, il bonus avrebbe un impatto sostanzialmente nullo sugli indicatori di povertà e di disuguaglianza.

Considerato che non esiste alcuna politica chiaramente definita, questa valutazione ex ante deve essere presa con grande cautela. Tuttavia, a nostro parere suggerisce alcune considerazioni.

1. I costi complessivi risultano essere significativi
2. Se si vuole privilegiare la semplicità e la coerenza con il bonus per i lavoratori dipendenti utilizzando means-testing su base individuale, bisogna essere consapevoli che una larga parte del bonus finirebbe nelle tasche di pensionati che vivono in nuclei familiari non indigenti. Molto più efficace potrebbe essere l’adozione di condizioni per l’eleggibilità su base familiare, per esempio considerando l’Isee.
3. Sarebbe opportuno, invece di affiancare un ennesimo provvedimento che complica ulteriormente il sistema complessivo di imposte e trasferimenti, iniziare a considerare una sua ristrutturazione complessiva

Grafico 1: Distribuzione percentuale dei pensionati “poveri” per quintili di reddito familiare equivalente.

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