Red Carpet Lo Chiamavano Jeeg Robot - Roma Film Fest

Risale al 1975 la prima edizione di Kotetsu Jeeg, da noi conosciuto come Jeeg Robot d’Acciaio. Mentre al cinema impazza un sorprendente cinecomic italiano che ne percorre la falsa riga, esce una riedizione del manga originale con l’aggiunta di tavole studio sui personaggi

Adesso lo staranno anche chiamando Jeeg Robot, ma da dove viene e come nasce questo robot che ha segnato l’infanzia di quelle generazioni che tra asilo e elementari, agli albori degli anni ottanta, in attesa con nonni o babysitter del ritorno dal lavoro dei genitori accrescevano inconsapevolmente l’audience delle reti private regionali coltivando un immaginario fanta-tecnologico? E soprattutto chi era il suo autore visionario? No, perché immaginarsi 40 anni fa una storia come quella di Hiroshi Shiba e di suo padre, scienziato sublimato in un computer per proteggere la Terra da un’antica civiltà sepolta negli abissi del Giappone non dev’essere stato facile. O scontato come siamo abituati a pensare di tante novità letterarie e non, che in qualche modo ruminano più o meno evidentemente idee già edite.

Il maestro e inventore del mecha, sottogenere del manga, è Go Nagai. Oltre all’aver scritto Jeeg Robot è autore di Mazinga-Z, Il Grande Mazinga, Goldrake, Getta Robot, Devilman e una lunga lista di altri mecha, o meglio, eroi giganteschi o robot alti come palazzi che difendono il mondo, armati o a mani nude, da oscuri invasori. Il più delle volte, si perdoni il calambour, invasati invasori. I protagonisti sono personaggi indomiti, a volte un po’ problematici che Nagai irrora del Codice Bushido, l’inattaccabile morale degli antichi guerrieri samurai. Originariamente tutti su carta, per l’Italia diventarono prima seguitissimi cartoni animati e solo molti anni più tardi furono riscoperti come fumetti, anzi manga. Nel caso di Jeeg la prima versione italiana era del 2002 a cura della Dynamic Italia. Dopo diversi anni e ristampe torna nelle fumetterie in un cofanetto a 2 albi da 200 pagine l’uno, ad opera della J-Pop, etichetta manga di Edizioni BD. Un’uscita arricchita da un cospicuo numero di bozze studio sulla creazione dei personaggi a sintetizzare il lavoro di Tatsuya Yasuda, ideatore grafico e disegnatore del manga nel 75’, e del cartone nel ’79.

Hiroshi è un campione di automobilismo che viene crivellato da soldati Yamatai, un’antica dinastia con poteri straordinari, ma la sua nuova vita lo trasformerà in Jeeg. Da millenni incastonata nelle viscere della terra, questa civiltà riemerge in seguito alla scoperta di una campana dai poteri magici intarsiata di storie perdute come una colonna traiana. Per la Regina Himika, bramosa di riconquistare il mondo, Nagai si rifece a Himiko, sacerdotessa realmente esistita nel III secolo d.C. alla testa del Regno Yamatai, antica regione giapponese. Rimandi archeologici all’estetica di soldati e utensili dell’epoca sono lampanti per i giapponesi, ma pressoché invisibili all’occidente. Basti pensare che il look dei soldati ricalca fedelmente statuine,campane e manufatti dell’epoca.

Per noi forse scattò l’elemento eroistico. Tanto che a ben vedere lo stesso Nagai sta ai robottoni come Stan Lee sta ai supereroi Marvel. O forse in qualche substrato della nostra cultura risiedevano, silenti, brandelli di superuomo nietzchiano virati nel Pop di quegli anni coincisi col mutamento delle tecnologie elettroniche. O ancora polveri sottili di dittature e imperi romani ed europei decaduti potrebbero averci reso le sinapsi particolarmente predisposte alle avventure al “maglio perforante” di questo gigante d’acciaio collocato invece dalla parte del bene. Che poi non era neanche il più grosso della famigerata tecno-famiglia dei robot. Con i suoi 10 metri Jeeg è rimasto il meno alto, seppur ricordato come uno dei più poderosi.

Hiroshi non pilotava nulla ma diventava cyborg e testa di un robot quasi organico composto da parti magnetiche. Suggerimento da merchandising, per il quale si sarebbero messi in commercio giocattoli nipponici a calamita, novità assoluta da cavalcare a fine anni ’70. Pensare che fiducia nella scienza e nelle giovani generazioni sono solidi ideali nella poetica di Nagai. Che il male venga dal passato? Intanto oggi il futuro ci ripropone un vecchio classico dei manga. Poi vedremo.

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