Lui, disoccupato di 45 anni, aveva pubblicato un video su youtube per dire che “Equitalia andrebbe denunciata per istigazione al suicidio”. E Attilio Befera, ex numero uno dell’ente di riscossione, l’ha querelato per diffamazione. Andrà a processo il 28 settembre prossimo in tribunale a Modena Mauro Merlino, autore di un filmato di 40 secondi pubblicato sul web, e poi rimosso, “per parlare della situazione che oggi si trovano a vivere milioni di italiani, strangolati dalla disoccupazione e dalle tasse”.

Sassuolese, padre di due figli, rispettivamente di 15 e 23 anni, Merlino tre anni fa era rimasto senza lavoro perché l’azienda che l’aveva assunto aveva scelto di investire all’estero, e da lì è stato un lavoro occasionale dopo l’altro. “Le ho provate tutte per trovare un altro impiego – racconta al fattoquotidiano.it – ma senza grandi risultati. Ho fatto le pulizie, il giardiniere, ma sempre cose da una o due giornate. Ho persino bussato alla porta del mio comune chiedendo una scopa e 10 euro al giorno così da poter dire che esisto ancora a livello lavorativo, perché un uomo o una donna lasciati soli a casa, senza nulla da fare, a 40 anni, sono persi, tagliati fuori dal mondo. Ma nulla”. Così, qualche mese fa Merlino, che debiti con Equitalia racconta di non averne – “le mie cartelle le ho pagate tutte, anche se con fatica” – ha deciso di girare una clip da pubblicare su youtube: “Volevo sfogarmi, dire la mia, perché da anni vedo solo porte chiuse davanti a me. E perché ogni giorno apro il giornale e leggo di imprenditori che si suicidano per crisi, famiglie che non sanno come mangiare ma sono schiacciate dalle tasse. Come me ce ne sono milioni in Italia, e non è giusto”.

Merlino cita anche Giuseppe Campaniello, l’artigiano edile che il 28 marzo 2013, oberato dai debiti, si tolse la vita dandosi fuoco davanti alla Commissione tributaria di Bologna, in via Paolo Nanni Costa. Secondo Befera, però, quel video andava a colpire Equitalia nella reputazione e nell’onore, tanto da far scattare una denuncia per diffamazione. Merlino, invece, allarga le braccia: “Ho il diritto di dire la mia opinione, e anche di criticare una società a totale controllo pubblico”. E nonostante la denuncia, e il successivo rinvio a giudizio, di filmati ne ha pubblicati altri, mettendo tra l’altro in vendita un rene “non per mangiare ma per pagarci le tasse. Una provocazione – spiega – perché voglio che di questo tema si parli”.

Su facebook ha anche aperto una pagina, intitolata “Mauro Merlino, la voce degli inascoltati”, e ha raccolto un notevole supporto. “Mi chiamano in tanti, da tutta Italia, per raccontarmi la loro storia, famiglie di persone che si sono tolte la vita per via della crisi e dei debiti, disoccupati come me, oppure semplici cittadini che vogliono parlare di questa situazione. E io vado avanti con la mia battaglia anche per loro”.

A difenderlo sarà uno studio di avvocati di Bergamo, pro bono. “Non sono stato né volgare, né violento, ho semplicemente espresso un mio pensiero. Credo di essere nel giusto, e credo anche che non si possa querelare un disoccupato per aver manifestato la propria opinione. Sinceramente l’accusa di diffamazione mi lascia perplesso. Mi sento processato per essermi avvalso del diritto di parlare liberamente, così come prevede la Costituzione”.

A prescindere da come andrà in tribunale il 28 settembre prossimo, quindi, racconta Merlino, “andrò avanti. Non intendo farmi imbavagliare con questa denuncia, perché ho il diritto di dire la mia opinione.  Ai tanti che vivono nella mia stessa situazione dico di non abbattersi, di continuare a lottare. Non è facile essere un genitore senza lavoro, spiegare ai figli che le tasche sono vuote. Certo, imparano subito ad accontentarsi di ciò che hanno, ma è dura per una madre o un padre”.

Merlino aveva anche tentato di contattare in qualche modo Befera, per spiegare il suo punto di vista. “Querelare un disoccupato ad oggi significa ucciderlo – racconta – io non mi sono fatto abbattere, certo, ma un altro al posto mio come avrebbe reagito? Non mi ha risposto, spero di incontrarlo in aula di tribunale”.

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