Il silenzio, il loro silenzio.
Quello dei giovani uomini, (oggi con sette anni in più sulle spalle) prima condannati per stupro di gruppo e oggi assolti, con le motivazioni note.

La vicenda di Firenze è cronaca, così come la coraggiosa e dolente lettera della giovane donna violata, che ha raccontato cosa vuol dire essere incrinata, nel corpo e nella mente e doverci fare i conti per tutta la vita, ogni giorno.

Scrivere quella lettera, in epoca di social media, vuol dire affrontare ciò che arriverà dal mondo: forse anche solidarietà, ma di certo un urto impressionante di odio e disprezzo. Oltre alla violenza in sé, dopo le indagini e il tribunale, c’è quella dello sciame digitale, senza volto, in maggioranza anonimo e con il suo potente carico di aggressiva e arrogante cattiveria.

Nel frastuono che si accavalla intorno a questa storia c’è il vuoto assordante e l’assenza di voce dei sei uomini, dei quali uno era amico della vittima all’epoca dei fatti. Questo silenzio maschile cosa racconta? Possibile che l’unica traccia dell’esistenza di questi uomini sia quella dei loro corpi predatori?

Quale cultura familiare, scolastica, sociale e individuale ha fatto sì che sei giovani abbiano costruito se stessi, la loro sessualità e la visione del corpo dell’altra in modo da diventare un branco, al punto che nessuno, resosi conto di quello che stava per accadere, si sia fermato? Che compagni, magari un giorno padri, saranno? Cosa racconteranno di quella sera, cosa si stanno raccontando?

Un pezzo di risposta è qui, nel docufilm (diventato poi libro) Processo per stuproSiamo nel 1978: Fiorella, di 18 anni, denunciò per violenza carnale quattro uomini di quarant’anni circa, fra cui Rocco Vallone, un suo conoscente. La ragazza, invitata da Vallone in una villa di Nettuno con il pretesto di un lavoro, viene sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da Vallone stesso e da altri tre uomini. Gli imputati ammisero spontaneamente i fatti al momento dell’arresto, ma interrogati successivamente negarono tutto e, in istruttoria, dichiarano che il rapporto era avvenuto dopo aver concordato con la ragazza un compenso di 200.000 lire. Il tribunale condannò Rocco Vallone, Cesare Novelli e Claudio Vagnoni ad un anno e otto mesi di reclusione, mentre Roberto Palumbo fu condannato a due anni e quattro mesi. Tutti e quattro gli imputati beneficiarono della libertà condizionale e furono subito rilasciati. Il risarcimento dei danni venne calcolato in due milioni di lire.

Il processo fu ripreso dalla RAI il 26 aprile 1979. Quella sera le televisioni italiane trasmisero lo spettacolo di una mentalità intrisa di maschilismo, capace di trasformare la vittima in istigatrice e quindi imputata.

In una intervista del 2007 l’avvocata Tina Lagostena Bassi, difensora di parte civile, dichiarò:“Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne”.

L’avvocata della vittima di Firenze ha rilasciato questa intervista (file audio), che in parte riecheggia il clima processuale del 1978, e le parole di Lagostena Bassi.

A leggere la sentenza di assoluzione dei fatti di Firenze sembra che il tempo, dal 1978, si sia fermato e che i corpi degli uomini siano impermeabili ai cambiamenti del mondo, quando c’è in gioco il potere esercitato attraverso la sessualità: la prova, se ce ne fosse ancora bisogno, che il problema della violenza sulle donne è un problema, (urgente), maschile.

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