Si guardano da lontano e restano fermi nei loro quartieri. A quindici anni dalla guerra in Kosovo, la popolazione di etnia serba e quella albanese continuano a vivere in un regime di tregua perenne. Le città dove resistono le piccole comunità di serbi sono tagliate da confini interni; a Mitrovica, nel nord del Paese, le barricate sono piantonate dalle camionette dei carabinieri italiani. Serbi e albanesi sono separati alla nascita. Chi ricorda con nostalgia l’unità con Belgrado è oggi una minoranza del 5% che vive in enclave malmesse e prega nelle chiese ortodosse; la schiacciante maggioranza albanese ha fatto dei suoi quartieri dei fortini più europei e occidentali, nonostante le belle moschee. Oggi, 23 giugno, Pristina e Belgrado si incontrano di nuovo per dare il via a una nuova sessione di dialoghi di pace. In Kosovo, anni di controllo militare non sono bastati a fare del più giovane Stato d’Europa un posto pacifico.

“Chi cercava vendetta – dice Padre Andrej, vicerettore del seminario ortodosso di Prizren, a IlFattoQuotidiano.it – l’ha già avuta”. Adesso, bisogna saper mettere un punto e “guardare al futuro”. L’Unione europea prova a far dialogare Pristina con Belgrado da quando, nel 2008, la neonata Repubblica, ex provincia autonoma della Serbia, ha dichiarato la sua indipendenza unilaterale. Bruxelles investe capitale economico e umano perché il controllo della Serbia è strategico nei rapporti di forza con la Russia, ma non solo: a dicembre, secondo Frontex, il 40% degli immigrati irregolari entrati nella Ue proveniva da qui. Il Kosovo, che dista meno di 300 chilometri dalle coste italiane, è nel cuore dell’Europa.

Dal 2007 al 2013 sono arrivati a Pristina 673,8 milioni di euro nel programma per la Instrument for Pre-Accession Assistance (Ipa, fondi di assistenza di preadesione) e altri 645,5 milioni saranno erogati fino al 2020 (Ipa II). Poco più di 1,3 miliardi di euro che servono a preparare, nel prossimo decennio, l’ingresso del Kosovo nell’Unione. La condizione è la normalizzazione dei rapporti con la Serbia e, solo per favorire il loro dialogo, la Ue ha fatto un bonifico da 38 milioni nel 2013. L’Europa ha qui la missione più importante fuori dai suoi confini: si chiama Eulex, costa 111 milioni di euro all’anno ed è attiva dal 2008. Da ottobre, al vertice c’è Gabriele Meucci, un italiano che per anni ha fatto il funzionario della Farnesina: “Abbiamo servito pasti caldi per molti anni senza che la gente abbia imparato a cucinare – dice a IlFattoQuotidiano.it – Adesso, bisogna che impari a prepararsi cibi”.

Pristina, a guardarla dagli uffici delle istituzioni internazionali, sembra essere il centro del mondo. Le strade dedicate a Bill Clinton e George W. Bush sono a pochi metri l’una dall’altra e il democratico è considerato quasi un eroe nazionale: la sua statua, con mani troppo grandi per essere vere, apre le porte della capitale ai funzionari dell’Onu che lavorano in città. Al loro fianco i 5mila militari Nato, americani ed europei, che con Kfor presidiano le strade del Paese e tengono a bada le tensioni etniche.

Il governo repubblicano è indipendente, ma non può prescindere dal supporto della comunità internazionale che ha fatto atterrare nel piccolo Stato dei Balcani diplomatici, docenti e giudici. L’Europa è al centro dei lavori: “Eulex – spiega Meucci – è la prima missione dell’Ue con funzioni esecutive, si sostituisce sul territorio ad alcune funzioni sovrane come la giustizia” e tra i suoi compiti c’è quello di combattere la dilagante corruzione e di individuare chi, a fine anni Novanta, ha commesso crimini di guerra.

Serbi e albanesi non amano Eulex perché gli europei indagano e condannano senza guardare alle etnie: “Quando giudichi un serbo – racconta l’ex funzionario della Farnesina – dicono che siamo filo-albanesi e viceversa. In realtà, vogliamo lasciare il Kosovo in una situazione in cui sia in grado di auto-amministrare la giustizia penale, aiutando loro a comprendere il valore della certezza del diritto e della superiorità della legge”. La missione, nei mesi scorsi, è stata al centro di polemiche legate a ipotesi di corruzione che un’indagine indipendente ha, però, smentito. Meucci ha preso il comando all’indomani dello scandalo ed è convinto di dover andare avanti: quella della Ue, spiega, è “una sfida culturale” e l’obiettivo è di far correre il Kosovo in fretta per portarlo, nel giro di pochi anni, al livello delle democrazie europee.

A vedere i dati economici del Paese, più che uno sprint, sembra che il Kosovo debba correre una maratona: il saldo del commercio internazionale segna un negativo di oltre due miliardi di euro e il prodotto interno lordo è di poco superiore ai 5 miliardi. I dati di crescita, superiori al 3% in media, non bastano a sopperire all’affanno dell’industria che costringe i kosovari a importare proprio dalla Serbia gran parte dei prodotti consumati. “L’élite economica – dice a IlFattoQuotidiano.it Albin Kurti, leader del movimento nazionalista d’opposizione Vetëvendosje – trae benefici dai legami con Belgrado e anche per questo il nostro import-export ha un rapporto di uno a dieci: è ridicolo”.

Kurti è un nazionalista albanese orgogliosamente di sinistra, rinchiuso nelle carceri serbe di Slobodan Milosevic quando essere un oppositore politico significava delinquere. Sul bavero porta la spilletta rossa con l’aquila a due teste: Vetëvendosje è il terzo partito kosovaro per numero di voti e Kurti gestisce il suo movimento da un palazzo a vetri nel centro di Pristina, in quella via dedicata “agli eroi albanesi dell’Uck”. È pronto a giurare che “la stragrande maggioranza dei kosovari vuole entrare nell’Unione europea”, ma prima di ogni cosa rivendica “il diritto a unirsi con l’Albania, come è successo con la Germania dell’Est e dell’Ovest”.

“Il confine tra il Kosovo e l’Albania – spiega – non è il confine tra gli albanesi. Il vero confine è quello a nord del Kosovo, la vera frontiera con la Jugoslavia, con la Serbia”. Quella che chiama “unificazione nazionale” viene prima dell’ingresso nell’Unione europea che “arriverà – dice – ma non prima di dieci anni”. A potersi opporre sono quei cinque stati Ue (Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro) che si rifiutano di riconoscere l’indipendenza di Pristina: “Paesi Baschi, Catalogna e Galizia possono essere paragonati al Kosovo? La Spagna – dice – sta facendo un grande errore perché si paragona a Milosevic e alla Serbia: se il Kosovo è come i Paesi Baschi, perché Madrid paragona se stessa a Milosevic? Io credo che questo sia sbagliato e stupido”.

Twitter: @mchicco e @GianniRosini 

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