Susi è una barista, ha i capelli chiari legati sulla nuca, gli occhi scuri e, forse, se siete passati da Lucca vi avrà servito il caffè. Lei, come altre 130 mila persone in Italia, è una rom, paga le tasse regolarmente, abita tra le mura di una casa, e no, non vive di furti o di elemosina raccolte per strada. La sua storia è una delle 13 ritratte nella mostra “Viaggio tra rom e sinti nell’Italia che lavora”, inaugurata a Bologna il 22 aprile sotto il portico della corte Roncati, e aperta al pubblico per due settimane. Una piccola esposizione, un corridoio di immagini in un angolo nascosto della città, che però riesce ad aprire una finestra e a illuminare un intero pezzo del nostro paese. Una realtà troppo spesso schiacciata da stereotipi, inchiodata da opinioni grossolane e superficiali, e filtrata dalle immagini distorte della propaganda politica.

“La mostra – spiegano gli organizzatori – vuole scattare un’istantanea della condizione lavorativa delle comunità rom e sinti insediate in Italia. Il pensiero comune spesso associa l’universo rom all’immagine di uomini che rovistano nei cassonetti o chiedono l’elemosina per strada. Invece, su 180mila che abitano in Italia, ce ne sono 130mila che vivono in case di muratura, versano le tasse, hanno un impiego regolare e si guadagnano il pane onestamente, come qualunque altra famiglia italiana”.

L’iniziativa è nata grazie al contributo di Roma Matrix, progetto internazionale per l’inclusione di rom e sinti nell’Unione europea, e con la partnership dell’associazione 21 luglio, del Comune di Bologna e del consorzio Indaco, realtà che unisce diverse cooperative sociali. L’obiettivo è smantellare i cliché e i pregiudizi, per mostrare come la maggior parte di rom e sinti si guadagni lo stipendio onestamente, e abbia abitudini di vita identiche a quelle del resto della popolazione, italiana e straniera. Basterebbe un episodio per dimostrarlo. Alla presentazione della mostra avrebbe dovuto partecipare anche uno dei rom catturati dagli obiettivi dei fotografi. Essendo però una giornata feriale, il giovane ha dovuto rinunciare per mancanza di permesso lavorativo.

E se questo non fosse sufficiente, ci sono i numeri a parlare: solo uno su cinque dei rom e dei sinti in Italia ha dimora in un campo, in casette mobili. Un gruppo ristretto rispetto a una maggioranza che è in Italia da generazioni, vive e lavora in mezzo a noi, invisibile e mimetizzata. Anche perché spesso queste persone preferiscono non rivelare le loro origini, per evitare il rischio di essere emarginati o penalizzati nelle questioni di ogni giorno. Colpa del razzismo diffuso, che spinge anche chi riesce a riscattarsi dalla vita nei campi a tenere nell’ombra la propria identità, talvolta la propria famiglia e le proprie amicizie.

Dietro i 13 volti della mostra di Bologna ci sono storie e testimonianze, raccolte da nord a sud. Ciascuno di loro si mostra, con il proprio carico di coraggio e speranza. C’è chi, come Concetta è impegnata a sistemare uno degli abiti da lei disegnati, in un atelier di Isernia. O Gordon, sorridente davanti al suo camion. Ma poi ci sono anche Dolores, giovane videomaker di Melfi, Laura, regista di Torino, e Manuel, infermiere a Lucca. La mostra è gratuita e visitabile fino al 5 maggio, nella corte Roncati di via Sant’Isaia 90, a Bologna.

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